giovedì 30 aprile 2009

Arlecchino servo di due vampiri

Questa è la parodia del penultimo libro uscito in America di Anita Blake, The Harlequin.
Se ne sconsiglia la lettura a chi ha paura degli spoiler in quanto la struttura della parodia è piuttosto fedele al libro originale.
E' fruibile anche da chi non ha letto il libro ma ci deve essere un minimo di familiarità con situazioni e personaggi altrimenti è difficile capirci qualcosa.
La parodia è scritta come se fosse un copione cinematografico e verrà postata un capitolo al giorno, commentate numerosi e buon divertimento!!!!!

Personaggi: Anita, Jean-Claude, Richard, Micah, Nathaniel, Damian, Jason, Cherry, Requiem, Byron, Wicked, Truth, London, Sampson, Augustine, Malcolm, Avery Seebrook, T-Ed aka Edward, Bimbopeter aka Peter, Olaf aka Otto Kranz, Rafael, Louie, Remus, Claudia, Graham, Clay, Lisandro, Fredo, Cisco, Jake, Silvie, Jamil, Narcissus, La Madre di Tutte le Tenebre, Zerbwroski, Dolph Storr, Bellemorte, Soledad, Nivia, Pulcinella, Meo Patacca, Burlamacco, Marcia aka Colombina, Giuannin aka Meneghino, Pantalone, Haven, Joseph, Donovan, Lilian, Dr. Criss Cross, Padma, Morte d’Amour, Fata Madrina aka Laurell Hamilton, Ricciolineri, Mandarino, Flora, Morgana, Eva.
Prologo


*Glitter argentato si sparge nell’aere, mentre una festosa musichetta si diffonde in dolby surround.
“Salacadula magicabula bididi bodidi buuu…fai la magia tutto quel che vuoi tuuu...bididi bodidi buuu..con salacadula puoi, far tutto quel che vuoi,ma la frase però che tutto può, è bididi bodidi bu!”
SPLOP! Una donna piuttosto soprappeso, fasciata da un tutù di pelle nera e borchiata e truccata con un rossetto scarlatto, chiaramente un souvenir degli anni ’80, crolla a terra con un miserevole tonfo.*
Fata Madrina: All’inferno! La carrozza di Bonazzo è in officina e io devo ancora perfezionare l’atterraggio. Comunque…cari lettori mi rivolgo a voi!
Lettori: *Increduli* A noiiiiiii?
Fata Madrina: Lo so che non riuscite a credere a cotanta fortuna. Ebbene sì, la mia augusta persona si è degnata di considerarvi. Proprio voi, sottospecie di subumani ingrati che in genere mi spammate la mail e continuate a protestare per cose assurde tipo l’uso eccessivo delle scene di sesso e l’utilizzo massiccio del copia e incolla.
Lettori: In effetti…
Fata Madrina: * Sbuffando esasperata* Quante volte vi devo dire che se non apprezzate il sesso è un problema vostro, esseri retrogradi frigidi e insoddisfatti? Come non si può amare la sottile magia del deep throating...
Lettori: Aghhhhhhhhhhh! Però il copia e incolla…
Fata Madrina: Al diavolo! La mia assistente si è licenziata e Bonazzo è analfabeta. Ho delle scadenze dannazione! Sono una fata, mica una maga!!!
Lettori: Veramente…
Fata Madrina: Come al solito mi fate perdere il filo del discorso. Volevo fare un annuncio importante, un disclaimer che dedico a coloro che fedelmente mi seguono nonostante le cagate che scrivo. Capito? *Rivolgendosi alla sua platea* Parlo a loro, a quelli buoni!!!!
Lettori: Siamo tutti orecchi!
Fata Madrina: Uno, due, prova! Ok. *Schiarendosi la voce* Lo so che ho sempre detto che dopo Phillip non sarebbe più morto nessun personaggio vicino ad Anita: la sua sofferenza era stata così grande da costringermi a prendere questa grave decisione.
Anita: Sigh! Un manzo del genere, buttato al vento. E non c’avevo neanche scopato!! Tu provaci di nuovo e ti sforacchio Bonazzo con la mia Browning.
Lettori: Sangue, sangue, sangue!
Fata Madrina: *Ignorando completamente la sua protetta* Ma adesso ho deciso di cambiare! Ho capito che questa saga ha bisogno di un bello scossone e quindi in questo libro ci saranno ben due morti! Due personaggi molto vicini ad Anita tireranno le cuoia! Mhuamhuamhumahua!
Anita: Tradimentoooooooo!
Fata Madrina: *Sibilando* Zitta tu, che ti mando in pensione.
Lettori: Noooooooooo! *Pianti e lacrime* Chi sarà, chi sarà? Non uccidere Jason, ti prego!!! Non uccidere JC! Ti prego, non Asher! E’ Richard? *La speranza comincia a diffondersi* E’ Richard? Dicci che è Richard!
Fata Madrina: * Facendo no-no col dito indice* Mhuamhuamhua! La curiosità è l’anima del commercio. Mhuamhuamhua!

giovedì 9 aprile 2009

Meng die 1860


“She gave me an unfriendly look with her dark eyes, before she turned her back on me and stood, hands at her side waiting. Waiting for what I wasn’t sure.”

-Narcissus in chain-

Jean-Claude si appoggiò con una mano guantata al cancello di legno a due piani che con le sue pagode colorate delimitava l’ingresso nella Chinatown di S. Francisco. L’inverno del 1860 era insolitamente freddo per il clima mite di quella parte della costa occidentale e anche se un vampiro non avvertiva le intemperie era necessario vestirsi adeguatamente in ossequio al costume umano.
Erano passate le dieci di sera e la notte era debolmente illuminata dalle lanterne di carta colorate del mercato cinese di Grant street, ma la luce fioca poteva bastare ad un osservatore attento per notare l’estremo pallore della sua pelle o un repentino lampeggiare di zanne. La sua vera protezione era la sua inumana bellezza: così perfetta, così assoluta da far sbiadire tutto il resto in una nebbia confusa di desiderio e attrazione. Il vampiro si lisciò le basette con l’altra mano, lo sguardo perso nelle bancarelle colorate al di là del cancello. Le dita, in un movimento automatico, raggiunsero i corti capelli corvini che un tempo gli adornavano il collo in lunghi riccioli a spirale. Non si era ancora abituato a quel taglio, ma l’imperativo del Master della Città era quello di rendersi invisibili tra la folla e anche se nel suo caso l’impresa era impossibile aveva adeguato abiti e capelli alla moda del tempo: il frac aderente, i pantaloni a tubo, la camicia dal morbido jabot fermato da un prezioso spillone e le scarpe di lucida vernice nera non gli dispiacevano affatto, ma rimpiangeva i suoi morbidi ricci. Così come rimpiangeva molte altre cose della sua vita di più di un secolo prima, ben più importanti di abiti e mode: Asher e Julianna.
Asher sfregiato e ridotto all’ombra di sé stesso, smarrito nell’odio e nel rancore, Julianna polvere bruciata nel vento e urla nella notte. Quella notte in cui Dio e la sua canea vociante gli avevano tolto tutto. La sua famiglia, il suo amore, la sua sicurezza. La sua dignità.
Jean-Claude sospirò, riscotendosi dai ricordi e lasciandoseli alle spalle come polvere indesiderata sul bavero della giacca. Sapeva che come la polvere sarebbero tornati e con loro il dolore, ma non c’era tempo per annegare nell’autocommiserazione: c’erano compiti da svolgere e persone da incontrare. C’era il Master da soddisfare e una vita da vivere. Nonostante tutto. Era la prima volta che ricopriva quell’incarico e non poteva permettersi di fallire. Non con un Master che lo ignorava così platealmente. Entrò nel cancello e si lasciò sommergere dalle voci, dai colori e dagli odori. Spezie, ortaggi dalle strane forme, teste di maiale fumanti, ideogrammi colorati. Tra le molte lingue che conosceva non figurava il mandarino e forse, se il suo destino era di restare per molto ancora a S. Francisco, sarebbe stato il caso di imparare. Ignorando gli sguardi che lo avvolgevano avidi, cercando di limitare il più possibile l’emanazione inebriante del suo potere, svoltò in un vicolo e si fermò davanti a un piccolo ristorante dall’aria bisunta. Entrò scostando con il bastone di mogano la tenda di perline colorate che danzarono felici al suo passaggio. Si guardò in giro nel locale quasi deserto cercandone il proprietario, un certo Meng. Suonò il piccolo campanello d’ottone sul bancone di legno scrostato e aspettò accarezzando distrattamente la testa di lupo scolpita nel pomello del bastone. Di sicuro non era lì per il dim sum[1].
‹‹Buonasera. Lei dev’essere Mr. Pierce›› lo salutò in un inglese fantasioso un piccolo cinese abbigliato con una sgargiante tonaca di foggia tradizionale. John Pierce era lo pseudonimo che aveva scelto per quella transazione. ‹‹Buonasera Meng›› rispose Jean-Claude eliminando ogni traccia di accento francese dalla sua voce.
‹‹E’ una serata perfetta per gli affari, non è vero Mr. Pierce?››
‹‹Sono sicuro che per lei è sempre il momento giusto Meng››
‹‹Vero Mr. Pierce. Verissimo. Ma andiamo nel mio ufficio. Staremo più comodi.››
Dopo essersi debitamente guardato in giro Meng fece cenno a Jean-Claude di seguirlo nel magazzino. Davanti al vampiro in attesa il cinese si appoggiò a una scaffalatura in ferro colma di generi alimentari fino al soffitto. Lo scaffale si mosse cigolando, girando su sé stesso e rivelando la presenza di un lungo corridoio. Jean-Claude entrò nel passaggio, mentre Meng richiudeva la finta parete alle sue spalle cancellando così ogni traccia della loro presenza.
Le narici del vampiro vibrarono: il corridoio dava su numerose stanze tenuemente illuminate da cui proveniva un odore acre e piccante che ricordava leggermente l’ammoniaca. Risatine attutite e deboli lamenti rendevano l’atmosfera ovattata e innaturale. Da una delle porte riuscì a scorgere un uomo semisdraiato su cuscini imbottiti che aspirava fumo da un pipa collegata con un lungo tubo a un fornelletto. Jean-Claude scrollò le spalle rivolgendo nuovamente la sua attenzione al piccolo cinese di fronte a lui. Chi era lui per giudicare la depravazione altrui? L’oppio non era la prima via di uscita che l’uomo aveva creato per evadere dalla sua quotidiana miseria e non sarebbe stata certo l’ultima.

La porta si aprì lasciando entrare una lama di luce tremolante. He Kexin cercò di mimetizzarsi con gli stracci sporchi che le facevano da giaciglio. Sapeva che era inutile eppure era più forte di lei, talmente prepotente era il desiderio di confondersi col pavimento, di sparire nel nulla. Non aveva le idee tanto chiare, la mente ancora confusa dall’ultima dose d’oppio, ma il suo orologio interno le diceva che era presto: presto per la solita scopata con quel bastardo di Meng, presto per i calci e le umiliazioni, presto per essere passata di cliente in cliente. Troppo presto.
He si appiattì il più possibile cercando di nascondersi dietro la scrivania senza riuscirci: le pesanti catene fissate al muro che le bloccavano il collo e la caviglia glielo impedivano. Quando la porta fu aperta del tutto e quattro piedi entrarono nella sua visuale si sentì avvolta da un vento innaturalmente gelido che le fece accapponare la pelle vestita solo di lividi. Accanto ai pesanti scarponi di Meng, così assurdamente in contrasto con la tonaca di raso ricamato, c’erano due scarpe di vernice talmente lucide da poter riflettere la sua immagine. He alzò piano lo sguardo sulle lunghe gambe del loro proprietario, sul torso snello fasciato dal frac nero, sul viso in cui riuscì a mettere a fuoco solo gli occhi: di un blu talmente scuro da sembrare quasi nero, un blu che le ricordò la prima notte sulla nave che l’aveva portata in America con la famiglia, quando sporgendosi dal parapetto aveva visto l’oceano. Il freddo la colse nuovamente facendola rabbrividire.
‹‹Si accomodi Mr. Pierce, si sieda pure›› sentì dire al lurido porco. Aveva tirato fuori dal cassetto l’inglese delle grandi occasioni e spolverato il suo miglior tono tutto zucchero e miele, quello che riservava ai clienti. He pensò che forse era un pezzo grosso e che valeva la pena restare all’erta: aguzzò le orecchie sforzandosi di mantenere lo sguardo vacuo. Il porco doveva credere che non c’era con la testa, doveva credere che non valeva la pena prestarle attenzione.
Occhi blu gettò un’occhiata prima a lei e poi a Meng, restando in silenzio. In quel breve sguardo He lesse la pietà, odiandolo per questo. Preferiva la lussuria e l’abiezione, preferiva che nessuno le ricordasse che un tempo era stata una persona. Un tempo in cui era stata piena di sogni e dolci sciocchezze, un tempo in cui era stata figlia affezionata se non amata. Un tempo che sembrava vecchio di secoli mentre erano solo due anni fa. I suoi diciott’anni, quando il caro papà si era liberato di un’inutile bocca da sfamare e di una dote da preparare per venderla a Meng. La sua festa di compleanno era stata indimenticabile.
‹‹Non si preoccupi Mr. Pierce, può parlare liberamente, questa è la mia cagna, He Kexin.›› Lo tranquillizzò il porco.
‹‹Saluta He, abbaia al signore.››
He cercò di ingoiare il grumo d’odio che le soffocava la gola senza riuscirci. Il porco le assestò un calcio nelle costole che la fece sbattere contro il muro strappandole un guaito e oscurandole la vista già annebbiata. ‹‹La scusi Mr. Pierce, è una cagna stupida.››
Quando He fu capace di rialzare nuovamente il capo vide che Meng si era seduto sul suo scranno scolpito dietro la scrivania e che occhi blu si era accomodato di fronte. Le parve di scorgere un nuovo lampo di interesse sul suo viso e poi più nulla: il suo volto si fece immobile e vacuo come le porcellane in bella mostra sul tavolo da tè. Occhi blu era un mistero, pensò la ragazza, un mistero che, forse, valeva la pena cercare di capire.

Jean-Claude si adagiò sulla sedia di legno intagliato cogliendo con la coda dell’occhio lo sguardo della ragazza. Era bella sotto la patina dello stordimento e il porpora dei lividi: piccola e snella, viso a cuore dai grandi occhi a mandorla, liscissimi capelli corvini che avrebbero avuto bisogno di una bella lavata. Appena l’aveva vista un rigurgito di pietà gli aveva teso un agguato, immediatamente schiacciato sotto il tacco del suo ferreo autocontrollo. Non era niente che non avesse già visto o sperimentato personalmente nella sua lunga vita. Niente che lo potesse impressionare. La curiosità però aveva risvegliato il suo interesse e con la seconda occhiata si permise il lusso di scandagliare rapidamente la sua mente. L’odio bruciante che vi colse lo fece quasi trasalire: sentì il morso della frusta, il peso di corpi non voluti, i colpi del bastone. Sentì il tintinnio degli yuan passare di mano, l’abbraccio di una madre in lacrime, gli schiaffi di un padre vile. Ritirò il suo potere in fretta e furia come una mano scottata da acqua bollente. Quel tintinnio, quell’abbraccio… risuonarono nel suo cuore con l’eco di altri dolorosi ricordi. Si rifugiò dentro sé stesso, ritirandosi nell’assoluta immobilità degli antichi. Sapeva che era disturbante per gli umani, ma gli serviva per recuperare la compostezza necessaria per condurre l’affare. Calmatosi, riaprì il suo volto alle emozioni, rivolgendosi al piccolo aguzzino che lo fissava dall’altra parte della bella scrivania di scuro legno laccato decorata nei toni del rosso e dell’oro. ‹‹Mi aspettavo di parlare da solo con lei, Meng›› si lamentò notando distrattamente che alle pareti erano appesi preziosi ventagli dipinti nei medesimi colori. ‹‹Il mio capo non ne sarà contento.››
‹‹Come le ho già spiegato, Mr. Pierce, He Kexin è la mia cagna e i cani non sanno parlare. Dubito persino che si renda conto di quel che succede. Vero He?›› chiese l’uomo grattando distrattamente la testa della ragazza piegata accanto alle sue ginocchia.
Jean-Claude aveva seri dubbi, ma decise di ignorarli e di parlare. ‹‹Alexandros vuole sapere dove e quando gli consegnerete la merce.››
‹‹E’ una partita d’oppio fantastica Mr. Pierce›› cinguettò Meng traboccando cupidigia da ogni poro. ‹‹Un quintale in pani da mezzo chilo l’uno della migliore qualità. Solo il massimo per il signor Alexandros.››
‹‹E sarà bene che sia così Meng o la sua vendetta sarà terribile›› lo informò il vampiro cogliendo un bagliore quasi di avvertimento negli occhi di He e consapevole che la sua minaccia, senza conoscere la loro vera natura, non suonava terribile neanche la metà di quel che era.
‹‹Non ingannerei mai uno dei miei migliori clienti, Mr. Pierce. Piuttosto veniamo al dunque: i miei uomini vi aspetteranno giovedì prossimo, all’una di notte al dock n° 3 del porto.››
Jean-Claude assottigliò gli occhi. ‹‹E’ un posto sicuro?››
Meng si strinse nelle spalle. ‹‹La guerra dell’oppio è finita e le autorità sono impegnate a controllare i cercatori d’oro e d’argento che continuano a spendere e spandere senza remore.››
‹‹Lei dice?›› ribatté Jean-Claude piegandosi in avanti, appoggiandosi al bastone. ‹‹Non mi sembra che la polizia sia troppo vogliosa di far fallire i saloon e i teatri che la città ha costruito per intrattenere i minatori.››
La voce di Meng si fece artificiosamente lamentosa. ‹‹Dai giorni della corsa all'oro, San Francisco è diventata una città senza freni né leggi.››
‹‹E le dispiace? Credevo che sulla Barbary Coast[2] ci fosse posto per ogni genere di depravazione.››
‹‹No, non mi posso lamentare›› ridacchiò il cinese. ‹‹L’oppio si vende sempre meglio: consola i minatori sfortunati e alleggerisce la fortuna dei pochi che ce la fanno.››
‹‹Le credo sulla parola Meng, ma il nostro mercato è ben diverso.››
‹‹Può darsi Mr. Pierce, ma borghese o operaio che sia, il risultato finale è sempre lo stesso: soldi che passano di mano dal più stupido al più furbo.››
‹‹I soldi, Meng, passeranno dalla mia mano alla sua›› sussurrò Jean-Claude alzandosi in piedi e insinuando un filo di potere nella voce. ‹‹Mi sta forse dando dello stupido?››
‹‹Ovviamente non è di lei che parlavo›› si affrettò a ribattere Meng.
‹‹Ovviamente›› concesse Jean-Claude risedendosi. ‹‹Parliamo del prezzo.››
Il cinese si lisciò nervosamente la lunga e sottile barbetta. ‹‹I rischi sono aumentati e quindi è aumentato anche il costo.››
Il vampiro alzò un sopracciglio ben disegnato. ‹‹Ma non era un affare sicuro?››
‹‹Qui sì›› sospirò Meng. ‹‹Ma in Cina ci sono ancora numerosi disordini e il commercio d’oppio non è ben visto: questo ha fatto lievitare i costi all’origine.››
Jean-Claude scosse la testa. ‹‹Non posso accettare senza parlarne prima con Alexandros.››
‹‹Certamente Mr.Pierce. Si consulti pure col suo capo, ma ho bisogno di una risposta entro domani.››
‹‹Domani sera l’avrà.››
Meng si fregò le mani soddisfatto. ‹‹Adesso possiamo passare a cose più piacevoli; le posso offrire qualcosa da mangiare?›› propose indicando un cestello di bambù, un bollitore e delle tazze di porcellana su una console appoggiata alla parete. Al cenno di diniego del vampiro continuò. ‹‹Allora una tazza di Hua-cha? E’ un tè verde aromatizzato al crisantemo, molto leggero.››
Jean-Claude annuì, pensando che berne qualche sorso, il massimo che poteva permettersi un vampiro, l’avrebbe aiutato a calarsi maggiormente nei panni dell’umano. Si alzò e seguì Meng verso la console trovandosi accanto a quel corpo ripiegato sul cumulo di stracci. Ora che era più vicino notò che per terra, sotto la scrivania, c’era una ciotola con delle ossa semi-spolpate. Il contrasto di quell’immagine con la porcellana delicata e il tenue profumo del tè lo fece sentire a disagio, tanto che urtò con il piede la catena che assicurava la caviglia della ragazza, perdendo leggermente l’equilibrio e facendo cadere a terra qualche goccia del liquido torbido. La vernice tersa della sua scarpa sinistra si macchiò. Jean-Claude riposò la tazza sulla console cercando il fazzoletto ricamato che aveva nella tasca, ma Meng lo interruppe con un gesto.
‹‹Pulisci cagna!›› ordinò seccamente.
Jean-Claude lo fissò interdetto, senza capire, finché si accorse che la ragazza si era allungata fino ai suoi piedi, la lingua rosea che lappava la scarpa come avrebbe potuto fare un gattino col latte. He alzò la testa a guardarlo e la penosa imitazione di un sorriso le distorse i bei lineamenti.
‹‹Brava He›› si complimentò Meng notando gli sguardi tra i due e rivolgendo nuovamente la sua attenzione a Jean-Claude. ‹‹Non era necessario›› protestò il vampiro.
‹‹Le piace la mia cagna?›› indagò l’altro senza ricevere risposta. ‹‹Ma lei è contenta, vero He?›› continuò ridacchiando come per uno scherzo. ‹‹E’ il suo nome›› spiegò Meng. ‹‹He Kexin significa vale la pena essere contenti.››
Jean-Claude sorrise senza scoprire le zanne, dissimulando abilmente il disgusto che provava.
‹‹Gliela presto se vuole›› offrì il cinese. ‹‹Così potrà dire al suo capo che Meng tratta i clienti con ogni riguardo.››
Il vampiro fece per rifiutare, pensando che alla corte di Belle offrire uno schiavo sporco e male in arnese difficilmente sarebbe stato considerato un riguardo, ma un’occhiata in tralice di He lo fece ricredere. Quella ragazza gli ricordava suo malgrado sé stesso: una forza nascosta, un’anima d’acciaio sotto un corpo debole. Forse poteva fare qualcosa per lei e magari, allo stesso tempo, far contento il Master. Era troppo tempo che languiva nei suoi ranghi completamente ignorato. Era giunto il momento di fare una mossa.

Meng li accompagnò in una delle stanze che davano sul corridoio, un locale arredato con un letto matrimoniale, fortunatamente pulito, e poche altre suppellettili. Una volta che Meng fu uscito He ci si sdraiò sopra a gambe aperte, fissando Jean-Claude con occhi vacui.
‹‹Puoi smetterla con la commedia›› le disse Jean-Claude sedendosi accanto a lei sul bordo del letto e poggiando il bastone a terra. ‹‹Se ne è andato.››
‹‹Cosa vuoi dire?›› rispose la ragazza con una bella voce morbida, ancorché un po’ impastata. Si avvicinò al vampiro e gli si strusciò seduttivamente sulla coscia.
Jean-Claude la ignorò. ‹‹Lo sai perfettamente: lo sguardo assente…l’aria remissiva…è tutta una recita per Meng!››
Lo sguardo di He si fece pungente e acuto come la punta di uno spillo.
‹‹Tranquilla ma chère›› continuò il vampiro. ‹‹Non sarò certo io a rovinarti il gioco.››
‹‹Sei francese?››
‹‹Oui.››
‹‹E allora cosa vuoi da me?›› chiese lei. ‹‹Vuoi fare sesso?››
‹‹Non mi interessano certe cose, puzzano di stupro.››
La ragazza rise amaramente. ‹‹Se vedessi quel che mi passa Meng ogni sera non diresti così. Sei bello, giovane, pulito; perché non dovrei voler far sesso con te?››
‹‹Perché sento che non ti interesso chérie; ed essere un dovere più piacevole di altri non mi lusinga granché.››
‹‹Non capisco.››
‹‹Non ti ricordi cosa vuol dire il vero desiderio?››
He lo guardò quasi con disprezzo. ‹‹Non dirmi che sei uno che crede nell’amore.››
‹‹Un tempo ci credevo ma ora non più›› rispose l’altro scrollando le spalle. ‹‹Adesso però non sto parlando d’amore›› sussurrò sfiorandole lo zigomo con l’indice. ‹‹Sto parlando della brama della carne›› continuò piegandosi sulla ragazza e sfiorandole le labbra con le proprie. Vi alitò solo un piccolo assaggio del suo potere, che bastò a strapparle un lungo gemito e a farla inarcare sul letto. ‹‹Hai capito la differenza tra dovere e piacere?›› rise Jean-Claude facendola rabbrividire nuovamente. Ad He sembrò di poter stringere quella risata tra le dita, liscia come una pezza di seta, morbida come una piuma che l’avesse sfiorata fuori e dentro, in posti che un uomo normale avrebbe potuto toccare solo con le mani. ‹‹Che cosa sei occhi blu?››
Jean-Claude si raddrizzò e le sorrise, mostrando le zanne. ‹‹Un vampiro.››
He sbatté gli occhi ripetutamente, restando in silenzio mentre Jean-Claude rideva di nuovo. ‹‹Non sono un’allucinazione da oppio piccola He. Sono davvero un vampiro.››
He si rialzò a sedere e si avvicinò all’uomo con circospezione.
‹‹Hai paura?›› Le chiese Jean-Claude.
‹‹No.››
‹‹Dovresti averne.››
‹‹Cosa vuoi da me?››
Jean-Claude la fissò negli occhi di giaietto, divertito dalla sua impudenza. ‹‹Tu da me non vuoi niente?››
‹‹Un’altra lezione sulla differenza tra piacere e dovere non sarebbe male›› ridacchiò la ragazza.
‹‹Non adesso He Kexin. Adesso ho un’altra lezione in serbo per te.››
La ragazza arretrò istantaneamente sul letto, raggomitolandosi verso la testata.
‹‹Cos’ho detto per ispirarti quella paura che ti vantavi tanto di non provare?›› gli chiese con noncuranza velata di sarcasmo.
He lo fissò con occhi torvi.
Jean-Claude le sorrise lievemente, gli occhi blu freddi e calcolatori. ‹‹Ho bisogno di sostenitori mia bella bambola di giada. I vampiri di ogni città rispondono delle loro azioni a un Master che dispone di loro a proprio piacimento. Solo cercando il suo favore si può salire di grado ed avere più potere. Solo avendo più potere si può sperare nella libertà.›› Il vampiro fece una pausa tornando a fissare la ragazza negli occhi. ‹‹Sono sicuro che mi comprendi perfettamente.››
He Kexin annuì, la sete di potere la capiva benissimo.
Il vampiro sospirò. ‹‹E io non sono esattamente tra i favoriti del Master di S. Francisco. Ho bisogno di sostenitori.››
‹‹Come potrei sostenerti?››
‹‹Chi meglio di un figlio su cui avrei il potere di vita e di morte?››
‹‹Un figlio?›› ripetè incredula la ragazza.
‹‹Un non morto, piccola›› le spiegò lui. ‹‹Sento il potere in te, sento che potresti essere un vampiro temibile.››
‹‹Non dovrei più stare con Meng.››
‹‹Oui.››
‹‹E sarei potente?››
‹‹Non subito ma chère e non so dirti quando. Ma sono sicuro che prima o poi lo sarai.››
‹‹E subito? Cosa succederà?››
‹‹Subito ci sarà un prezzo da pagare, ma non sarà più alto di quello che stai già pagando.››
‹‹Cosa devo fare per essere come te?››
‹‹Dammi un buona ragione, bambola di giada. Dovrò rispondere di te ad Alexandros, il mio Master. Dammi un solo motivo che sia accettabile per lui e ne riparleremo.››

La stanza del trono accolse Jean-Claude con il solito sfarzo, seppur minimale in confronto ai fasti decadenti a cui Bellemorte l’aveva abituato: l’ampio salone dipinto in un bianco abbagliante, scaldato dalle numerose nicchie scolpite nella pietra e colme di vasi e suppellettili greche, mostravano, senza ombra di dubbio, l’amore per lo stile neo classico del Master della Città. Un piccolo portico dalle snelle colonne in marmo di Carrara avvolgeva in un abbraccio imponente lo scranno dello stesso materiale su cui era assiso Alexandros. Il Master era seduto sul trono con la schiena rigida e eretta, in posa quasi marziale, e il suo aspetto, pensò il vampiro avvicinandosi al trono col capo rispettosamente abbassato, la corporatura possente, il collo taurino, i lineamenti gradevoli ma rozzi, tagliati con l’accetta, ricordavano più che il condottiero da cui aveva preso il nome, il suo famoso cavallo, l’infaticabile Bucefalo. Del resto era risaputo che Dragon, regina della guerra e dell’ira così come la sua sourdre de sang lo era del sesso e della lussuria, prediligeva quelle qualità nei suoi seguaci. Lui era l’unico vampiro della linea di Bellemorte nel bacio di Alexandros e la mancanza di un suo simile, la mancanza di qualcuno che comprendesse a fondo quanto fosse sfibrante sostenere il peso della brama della carne lo faceva sentire più solo di quanto fosse mai stato.
‹‹Jean-Claude!›› lo apostrofò il Master con voce secca una volta che il vampiro fu inginocchiato ai suoi piedi. ‹‹Che notizie mi porti da Meng? Quando arriva il carico?››
‹‹La nave con l’oppio attraccherà tra due giorni mio signore. Meng ci ha dato appuntamento al dock n°3 per lo scambio.››
‹‹Perfetto›› annuì il master con un sorriso soddisfatto. ‹‹Occupati di portare a termine la transazione e poi prendi accordi con Augustus per organizzarne lo smercio. Voglio allargare i nostri canali di distribuzione.››
‹‹Ma-›› esitò Jean-Claude. Non sapeva come confessare ad Alexandros il tradimento del cinese: ambasciator non porta pena non era un detto comune tra i vampiri.
‹‹Ho sentito forse un ma uscirti dalla bocca?›› sibilò Alexandros a labbra strette. ‹‹Ma è una congiunzione che non mi piace.››
Jean-Claude esalò un profondo respiro cercando di trarne una forza che non sentiva di possedere. ‹‹Una fonte affidabile mi ha informato che Meng ci sta ingannando, Alexandros.››
‹‹Come?››
‹‹La partita che ci ha destinato non è della qualità promessa›› spiegò Jean-Claude. ‹‹Pare che siano scarti di dubbia origine tagliati con sapone.››
‹‹Come è possibile?›› urlò Alexandros stringendo i pugni. ‹‹Come è possibile che qualcuno osi solo pensare di potermi ingannare? Gli hai fatto capire cosa significa mettersi contro di me?››
‹‹E’ difficile minacciare in modo efficace quando non puoi rivelare i tuoi veri poteri.››
Gli occhi di Alexandros si strinsero minacciosamente. ‹‹Soprattutto quando i suddetti poteri non servono a nulla. Vero, mio bel damerino?››
All’assenza di reazioni da parte dell’altro il master continuò.
‹‹Ci sono minacce e vendette comprensibili agli umani usate con successo da millenni, ma scommetto che la Grande Puttana che ti ha dato la vita non si è disturbata ad insegnartelo. Preferisce che i suoi accoliti siano dei perfetti leccaculo.››
La vampira immediatamente dietro il trono insinuò una mano dentro il mantello del suo sire senza staccare gli occhi da Jean-Claude. Alexandros sospirò e fece un gesto con la mano come a voler scacciare una mosca. ‹‹Vattene adesso. Penserò a cosa fare. Quel bastardo avido di Meng dovrà essere un esempio per tutti.››
Jean-Claude non si mosse restando in ginocchio di fronte allo scranno. ‹‹Perché sei ancora qui?›› gli chiese Alexandros spazientito.
‹‹Ho una richiesta da farti›› sussurrò l’altro.
‹‹Una richiesta!›› rise Alexandros seguito a ruota dai suoi protetti. ‹‹Il leccaculo osa fare una richiesta! Sentiamo Jean-Claude! Dopotutto hai assolto il tuo compito, non sia mai detto che Alexandros è un master ingiusto.››
Jean-Claude esitò qualche secondo e poi parlò con voce ferma. ‹‹Vorrei il permesso di fare un vampiro.››
‹‹Tu?›› La risata morì subito sulle labbra del master. ‹‹Un nuovo vampiro? Mi basta un solo depravato nel mio bacio.››
‹‹E’ la donna che mi svelato il piano di Meng, vorrei premiare la sua lealtà›› spiegò Jean-Claude.
‹‹Una donna! E come l’hai convinta a tradire Meng? Gli hai sbattuto in faccia le tue belle ciglia? Te la sei scopata?›› Alexandros si alzò dal trono cominciando a girare intorno a Jean-Claude, accerchiandolo come uno squalo assetato di sangue. ‹‹Dovevo immaginarmelo›› disse con disprezzo.
L’altro restò a capo chino, senza ribattere, in attesa.
‹‹Non c’è bisogno di un premio per delle informazioni che avresti potuto carpire con un semplice sguardo dei tuoi occhioni blu.››
Jean-Claude insisté, cercando di sembrare convincente. ‹‹Sento il potere vibrarle sotto la pelle Alexandros, sarà un degno membro del tuo bacio.››
L’altro si inginocchiò di fronte a lui e gli afferrò bruscamente il mento con la mano enorme, costringendolo ad alzare la testa. ‹‹Devi restare il solo.››
Jean-Claude coprì quella mano con le sue lunghe dita, fissandolo negli occhi. ‹‹Perché?››
Il contatto con quella pelle ruvida, scabra, l’odore improvviso del desiderio che gli solleticò le narici risvegliò il suo demone, che allungò le dita frementi verso un pasto che non poteva assolutamente permettersi di assaggiare. Prima che potesse rialzare le barriere metafisiche che tenevano l’ardeur sotto controllo ebbe una fugace immagine del proprio corpo nudo sbattuto senza cerimonie sul letto, del proprio viso affondato nel cuscino, del respiro pesante di Alexandros nel suo orecchio.
La mano del Master si scostò bruscamente dal viso di Jean-Claude, come se scottasse. Le sue pupille si persero in un turbine marrone, le sue ossa si fecero oro liquido sotto la pelle improvvisamente traslucida e il potere di Dragon colpì il vampiro più giovane come un maglio d’acciaio facendolo vacillare. Jean-Claude dovette poggiare le mani sul pavimento per non cadere sopraffatto dall’urto.
La rabbia e l’ira che gli covavano sotto la pelle traboccarono trionfanti come vino da una coppa. Avrebbe potuto uccidere Alexandros, avrebbe potuto essere il nuovo Master della Città. Sarebbe stato libero, padrone di sé stesso. Pazzia. Follia. Il potere recedette come l'onda del mare sulla spiaggia lasciando Jean-Claude tremante e spaventato al pensiero del rischio che aveva corso. Alexandros lo prese per lo sparato della camicia e lo tirò su all’altezza del suo viso. I suoi occhi erano nuovamente normali, colmi di qualcosa che l'altro non avrebbe saputo definire a parole. Alexandros gli piantò un rude bacio sulle labbra, ma prima che l’altro potesse rispondervi lo spinse a terra con una mano.
‹‹Vai a trasformare la tua puttanella e levati dalla mia vista.››
Jean-Claude si asciugò le labbra col dorso della mano e si rialzò lentamente.
‹‹Hai capito?››
‹‹Oui Master›› annuì a capo chino. Aveva capito benissimo. Alexandros aveva paura dell’ardeur: per lui in quel bacio non c’era più futuro.

He Kexin uscì dal bagno in una nuvola di vapore appoggiandosi allo stipite della porta e lasciandosi ammirare: i lividi erano ancora in bella mostra, ma non era quella la prima cosa che saltava all'occhio. C'era una nuova confidenza nella sua voce, quella forza che Jean-Claude aveva intravisto sotto la sua pelle il giorno prima.
Adesso quell'energia le illuminava gli occhi a mandorla e traspariva dal suo sorriso impudente. ‹‹Va meglio così?››
‹‹Molto meglio›› le rispose Jean-Claude con voce roca abbandonato sul letto dell'albergo che aveva preso per la notte.
‹‹Non ho mai conosciuto un maniaco della pulizia come te, occhi blu›› ridacchiò He. ‹‹Gli uomini che ho conosciuto finora parevano interessati a ficcarmelo dentro e basta.››
‹‹Preferirei non essere paragonato a quelle bestie.››
He si avvicinò al letto ancheggiando sinuosamente. ‹‹Non. Era. Mia. Intenzione.›› Salì sul letto a quattro zampe e si strusciò sul corpo dell'uomo come una gatta. Un tremito incontrollabile le percorse il corpo.
‹‹Che ti succede?›› le chiese il vampiro prendendola per la spalla.
‹‹E' l'astinenza da oppio: è più di sette ore che non ne prendo una dose.››
‹‹Quando sarai un vampiro non ne avrai più bisogno.››
‹‹Come avverrà?››
‹‹Essere un vampiro?››
He annuì.
‹‹Ti devo mordere ma chere. Ti devo mordere e succhiare il sangue per tre volte togliendoti la vita goccia a goccia. Solo sospesa tra la vita e la morte saprai trovare la strada per rinascere come vampiro.››
‹‹Dove mi morderai?›› gli alitò lei sul viso accarezzandolo con i liscissimi capelli neri.
‹‹Dovunque ci sia una grossa arteria, bambola di giada: sul collo›› e gli sfiorò la giugulare pulsante con le labbra. ‹‹Sul polso›› e glielo strinse in una morsa piacevolmente dolorosa. ‹‹All'inguine›› e le insinuò le lunghe dita nella piega inguinale facendola rabbrividire. ‹‹Ma non devi temere il dolore ma cheré. Il mio potere può renderla un’esperienza piacevole.›› La parola piacevole le accarezzò la schiena come morbida pelliccia. ‹‹Molto piacevole.››
‹‹Non voglio che lo sia›› disse la ragazza afferrandogli entrambe i polsi e bloccandoli sul letto. Sapeva che Jean-Claude avrebbe potuto liberarsi in qualsiasi momento e la cosa rendeva il tutto ancora più eccitante. Era come avere una tigre sotto le mani. Il vampiro la ribaltò all'improvviso facendola finire sotto di sé ancora con le sue mani sui polsi. ‹‹Perché?››
‹‹Perché ci sarà tempo per il piacere ma voglio ricordare tutta la vita questo momento. Il piacere si dimentica.›› Gli occhi di He si fecero senza fondo, come pozzi neri. ‹‹Il dolore si ricorda per sempre.›› Ed erano tante le cose che non si sarebbe mai più dimenticata.
‹‹Non posso darti torto He Kexin›› sospirò Jean-Claude.
‹‹Non chiamarmi più con quel nome occhi blu. He Kexin è morta già da tempo ma adesso ha la possibilità di rinascere a nuova vita e sei tu a darmi questa occasione.››
Jean-Claude si sdraiò di fianco, osservando la ragazza appoggiato sul gomito. ‹‹I vampiri assumono un nuovo nome una volta trasformati. Hai già un'idea per il tuo?››
‹‹Voglio chiamarmi Meng die.››
‹‹Assomiglia al nome del tuo aguzzino›› osservò Jean-Claude incuriosito. ‹‹Cosa significa nella tua lingua?››
Meng die sorrise. Un sorriso aperto e fanciullesco che le lasciò gli occhi inespressivi di un pesce morto. ‹‹Non è la mia lingua. E' inglese.››
Il vampiro sbatté gli occhi. ‹‹Meng... muori?››
Lei annuì. ‹‹Non lo trovi appropriato?››
‹‹Molto›› disse Jean-Claude abbandonandosi sul letto accanto alla ragazza e chiedendosi se non avrebbe affondato i denti in un amaro boccone. ‹‹Ricordati che il rapporto tra figlio e padre è sacro tra noi. Il mio potere mi consente di toglierti la vita così come te l'ho data.››
‹‹Cosa puoi farmi?››
Jean-Claude si voltò verso di lei con un movimento così veloce da sembrare magia a semplici occhi umani. Snudò le zanne sibilando, gli occhi senza pupille che lanciavano bagliori bluastri sulle orbite delicate. ‹‹Il giorno che lo scoprirai ma chere sarà troppo tardi. Augurati di non venirlo mai a sapere.››
‹‹Lo ricorderò›› disse la ragazza fissando un punto imprecisato sul suo torace. Quegli occhi blu che poco prima le erano sembrati solo belli adesso le sembrarono diversi: pieni di cose nascoste in profondità, cose che potevano tenderle un agguato. Non doveva sottovalutare Jean-Claude, non doveva fare quell'errore, ma avrebbe anche ricordato che aveva avuto pietà di lei. Un giorno le sarebbe tornato utile, pensò. Ne era più che sicura.


[1] Pietanze, generalmente cotte a vapore, che accompagnano il tè cinese
[2] Nella seconda metà del 1800 la dissolutezza della città le valse il soprannome di "Barbary Coast" per la triste somiglianza con la costa del Nord Africa, afflitta dai pirati.

giovedì 2 aprile 2009

Byron 1628

“Here was a face younger and more innocent seeming than Nathaniel’s. He’d been in his late teens when his master had brought him over.”

-Incubus Dreams-

C'era un odore pesante nell'aria. Le zone fuori Londra, dove i poveri vivevano in condizioni igieniche inesistenti, furono colpite per prime dalla peste. Durante l'inverno, molti furono contagiati e morirono, ma il freddo intenso aiutò a contenere l'epidemia e la situazione non destò eccessive preoccupazioni. Il Re Carlo II era ancora in città, i teatri erano aperti e la gente voleva solo divertirsi. Ma all'inizio di marzo, con il sopraggiungere di un’afa insolitamente opprimente per quel periodo, la peste cominciò a diffondersi su larga scala e molto rapidamente.
La primavera del 1628 non portava rondini ma oscuri presagi di morte .

“Rosalina: Avete l'anima malata?
Byron: Malata al cuore.
Rosalina: Ahimè! Cavategli sangue.
Byron: Gli farebbe bene?
Rosalina: La mia scienza medica dice di sì.
Byron: Volete trafiggerlo coi vostri occhi?
Rosalina: Niente affatto, ma col mio coltello sì.
Byron: Che Dio vi conservi a lungo in vita.
Rosalina: E voi che vi salvi dal vivere a lungo!
Byron: Non ho tempo per rendervi grazie. ”

«Non devi rendegli grazie! Ficca la pagnotta nel forno!» L'urlo sguaiato fu seguito da un coro di risate e da altrettanti commenti salaci mentre Richard Burbage e l'attore adolescente che interpretava Rosalina facevano del loro meglio per ignorare l'accaduto. Sotto il palco ci fu un fuggi fuggi generale, ma l'impresario imbufalito fece in tempo ad afferrare per le orecchie due ragazzini e a sbatterli, senza troppe cerimonie, fuori dal teatro. «E non fatevi più vedere! Il Globe non è per gentaglia come voi.»
Il più piccolo dei due, un ragazzino dai riccioli bruni che non dimostrava più di quindici anni, si rimise in piedi lisciandosi cerimoniosamente gli stracci sporchi che lo ricoprivano. «Abbiamo pagato il nostro penny stronzo!»
«Me ne frego bastardi. Così la prossima volta imparate a tener chiuso quel forno che avete al posto della bocca.»
Il ragazzo più alto, un biondino slavato coperto di lentiggini, tirò l'altro per la manica della casacca di cotone grezzo mentre l'impresario rientrava nell'arena a grandi passi. «Davvero avevi pagato l'ingresso?»
«Ma sei matto?» gli rispose il piccoletto ridendo. «Mi ero nascosto sotto la mantella di una fantesca!»
Il biondino restò a bocca aperta per la sorpresa. «E lei te l'ha lasciato fare?»
«Come no» ammiccò l'amico con occhi pieni di malizia. Occhi molto belli peraltro, grigi e brumosi come Londra al mattino, orlati da lunghe ciglia color castagna. «E le ho pure dato una palpatina!»
Altri tre ragazzi che ciondolavano nei pressi dell'entrata si unirono al duo. Uno si staccò dal gruppo e diede una spintarella al brunetto, facendolo vacillare leggermente. «Sei il solito contafrottole Peter, lo sanno tutti che fai marchette al Blackfriars !»
Un sorrisetto maligno si dipinse pigro sul viso del ragazzo. «Perchè tu non le fai Cyrus?»
«Cosa vorresti dire?» disse l'altro arrossendo.
«Voglio dire, da dove vengono quelle scarpe nuove?» Insinuò l'altro indicando gli scarponcini in pelle dell'amico. «Perchè non porti i soliti zoccoli?»
Il coro di scherno cominciò quasi subito. «Cyrus è un pompinaro! Cyrus è un pompinaro!»
«Basta ragazzi» li zittì Peter. «Lasciate perdere» continuò stringendosi nelle spalle magre. Improvvisamente sembrava molto più vecchio dei suoi quindici anni: un adulto intrappolato sotto la pelle tenera che premeva per uscire. «Il nostro mondo è questo e con la peste che gira potrebbe finire da un momento all'altro.»
Cyrus fece un passo indietro, fissandosi ostentatamente i piedi, o forse le scarpe incriminate. «Non ho bisogno della tua pietà.»
La risata di Peter fu così contagiosa da propagarsi nel resto del gruppetto come cerchi in uno stagno. «Pietà? Per te? Mal comune mezzo gaudio amico» gli strizzò l'occhio Peter. «Dovresti saperlo.»
«Fottiti stronzo» rispose Cyrus battendo in ritirata.
«Tu dammi una sterlina e se ne può parlare cocco!» gli urlò dietro Peter guardandolo allontanarsi a grandi passi. «Che idiota» concluse con uno sbuffo, ravviandosi il ciuffo che gli era finito davanti agli occhi.
«Ehi Peter!» gli sussurrò uno dei compagni. «Guarda laggiù! C'è il solito tipo che ti sta fissando!»
«Dove?» Cyrus era già dimenticato mentre nuovi e più impellenti bisogni gli urlavano impazienti nello stomaco.
«Là, vicino all'entrata!»
Peter osservò a lungo l'uomo bruno mollemente appoggiato al muro registrandone, nonostante il crepuscolo del tardo pomeriggio, il cappello piumato, la gorgera di pizzo e gli stivali di pelle preziosa che facevano capolino da un lungo mantello nero. Era da qualche giorno che gli capitava di vederlo. Sempre all'imbrunire. «Sembra un riccastro» aggiunse un altro ragazzo.
«Vai a guadagnarti la tua sterlina marchettaro» sogghignò uno dei compagni di Cyrus.
Peter non si voltò neanche, lo sguardo ancora fisso sugli abiti sontuosi dello straniero. «Ci sono altri modi Roger, ci sono anche altri modi.»
Il biondino con le lentiggini abbracciò l'amico. «Come al solito Peter?»
«Squadra che vince non si cambia Bill» rispose Peter ridendo. «Mai.» Il biondino sparì in un batter d'occhio, ma Peter sapeva perfettamente dove era diretto. Lo avevano fatto molte altre volte: la sorella di Bill, Nancy, si aggirava sempre nei dintorni. Una volta individuato il pollo giusto Bill l'andava a chiamare, lei urtava il malcapitato facendolo cadere su uno di loro che nel frattempo si era messo in posizione. Un po' di destrezza, un gioco di mano e la sacchetta appesa al cinturone cambiava proprietario. Rubare ai ricchi per donare ai poveri, questa era la sua massima. E non c'era nessuno più povero di loro, pensava Peter, avvicinandosi allo sconosciuto ammiratore.
Ora Peter poteva scorgerne il viso: dei lineamenti dolci, delicati, una bocca morbida, delle sopracciglia arcuate. La pelle era bianchissima, quasi lattea e il viso era sbarbato. Peter non riusciva a capire dove e quando, ma era sicuro di aver già visto quel volto da qualche parte. In un posto che non c'entrava con lui. C'era qualcosa che non quadrava.
«Buonasera dolce signore» salutò il ragazzo sfoggiando i suoi modi più compiti e abbozzando un mezzo inchino. «Le posso essere utile in qualsivoglia modo?»
L'uomo non rispose e parve quasi confondersi e sparire nelle ombre sul muro retrostante. Pareva fatto di fumo. Fumo solido però, perchè Nancy scelse proprio quel momento per fare la sua comparsata. Sbucò dal nulla correndo e urtò lo sconosciuto che perse l'equilibrio e cadde in avanti, appoggiandosi sulle spalle di Peter. Le scuse di Nancy furono un grido lontano mentre le sue mani sondavano velocemente la zona in prossimità della cintura dove i gentiluomini di solito appendevano la borsa. Le mani di Peter erano piccole e delicate. Vere e proprie mani di fata, abili e veloci. Eppure stavolta non trovarono il malloppo bensì una mano grande e solida che gli strinse dolorosamente il polso. Fanculo, era stato beccato! Come aveva fatto a muoversi così velocemente?
«Cosa credevi di fare ragazzino?» la voce dell'uomo gli scivolò lungo la spina dorsale come uno spiffero gelido.
«Cosa dice mai dolce signore?» balbettò Peter in preda al panico. «Cercavo solo di aiutarla a stare in piedi!»
«Raccontala a un altro» bisbigliò quello stringendo ancora di più la presa ai tentativi di Peter di divincolarsi. «Tu stavi cercando di derubarmi.»
Il ragazzo sbarrò gli occhi. «No signore, no! Mi creda non è vero!»
«Potrei denunciarti.»
Peter sentì gli occhi riempirsi di lacrime. Sbatté le lunghe ciglia. Forse così si sarebbe intenerito. «La prego non lo faccia! Non voglio finire a Newgate! »
«Dammi solo una ragione per lasciarti andare!»
Peter sospirò mentre una lacrima gli scendeva sulla guancia ancora imberbe. «Farò tutto quello che volete. Vi prego.» Alla fine erano giunti a questo. Aveva pensato di fregarlo e invece il fottuto sarebbe stato lui. E pure gratis!
«Bene ragazzo» sorrise l'uomo accarezzandogli la guancia con la mano guantata, ma senza lasciare la presa sul suo polso. «Andiamo a casa.»

Era così essere ricchi? Avrebbe potuto abituarsi facilmente a quel genere di vita, pensò Peter, annusando sulla sua pelle il profumo degli olii preziosi con cui era stato asperso dopo il bagno. Era la prima volta che si immergeva in un'acqua che non fosse quella fredda e maleodorante del Tamigi e probabilmente l'avrebbe ricordato per tutta la vita.
Era notte inoltrata e si stava fissando con stupore nello specchio appoggiato a una parete della camera da letto, illuminata morbidamente da candele di sego. Anche questa era una prima volta: fino a quel momento aveva colto la sua immagine nei vetri, nelle pozzanghere, nel riflesso torbido del fiume. Un'ombra indistinta, un riflesso fugace che nulla aveva della chiarezza disarmante con cui adesso poteva ammirarsi. Erano suoi quei boccoli castani acconciati di fresco? Era suo quel viso pallido e fanciullesco? Erano suoi quegli occhi enormi e ancora un po' impauriti, a dispetto della giocosa spavalderia con cui abitualmente mordeva la vita?
Osservò le sue occhiaie profonde e si palpò il collo leggermente gonfio. Improvvisamente si sentì stanco, stanco e infelice. Voleva tornare al covo, la baracca abbandonata che divideva con Bill e la sua famiglia. Voleva un'altra vita. Un vita senza problemi. Una vita con un amore. Un amore come Rosalina, un'emozione che non aveva mai provato. Donne, uomini. Per soldi andava bene tutto. Per amore ancora lo doveva scoprire. L'avrebbe mai fatto? Di sicuro non con Faust, così si chiamava il suo oscuro ammiratore. Sembrava un tipo a posto, era affascinante e gentile, anche se aveva qualcosa a cui ancora Peter non riusciva a dare un nome. Qualcosa che gli dava i brividi. Forse era la camera da letto, senza neanche una finestra, forse era l'unico servitore, che l'aveva guardato quasi con odio, forse era il viso di Faust che era sicuro di aver già visto da qualche parte. Non lo sapeva
«A cosa pensi mio piccolo amico? Non hai gradito il bagno?» Stavolta le parole lo accarezzarono lente e pigre come una mano morbida.
Gli occhi di Peter tornarono duri e vecchi mentre rispondeva all'altro. «L'ho gradito molto mio signore. Pensavo solo a quanto sono belli gli abiti che mi avete donato.» Non si sopravviveva nei sobborghi di Londra col sentimento. Non era un pane che riempisse lo stomaco. Adesso invece era pieno: panini dolci, burro e miele. E vestiti caldi e scintillanti in colori di cui non sapeva neanche il nome. Si guardò le braghe che gli aderivano alle gambe magre ma ben formate: il valletto l'aveva chiamato color “pulce”. Lui aveva avuto le pulci e non ricordava che avessero avuto quel colore. I ricchi erano strani, ma il ferro andava battuto finché era caldo e fare sesso con quell'uomo non sembrava un fato peggiore della morte. Peggiore della fame. Peter si inginocchiò davanti all'altro e lo guardò dal basso verso l'alto, posandogli una mano sull'inguine, che immediatamente rispose attento alle sue premure. «Cosa volete da me, mio signore?»
Faust gli coprì la mano con la sua, sospirando. Esitò un attimo e poi gliela prese, tirandolo su per farlo alzare. «Ho una proposta per te Peter. Una proposta che spero troverai interessante.» Quindi una semplice marchetta non gli sarebbe bastata, rifletté il ragazzo aguzzando le orecchie, Cosa avrebbe preteso? Frusta? Umiliazioni?
Faust gli accarezzò piano i ricci, assaporandone la morbidezza mentre gli scivolavano tra le dita. «Vieni, vivi con me e sii il mio Amore, tutti i piaceri proveremo che campi e colli e vallette e valli donano e i boschi e i rapidi pendii .»
Peter sbatté gli occhi, stupito. Nonostante i versi la proposta era stata chiara. «Cosa vorreste farmi intendere?»
Il sorriso di Faust fu appena accennato, le labbra si dischiusero appena. «Niente di più e niente di meno di quello che ho appena detto. Desidero un compagno, mio dolce amico. E le mie particolari inclinazioni suggeriscono che lo cerchi tra freschi fanciulli» con un cenno elegante della mano accennò agli abiti e alla stanza lussuosa. «Questo è solo un assaggio di quello che sarei in grado di offrirti: sarei il tuo protettore, saresti al sicuro per l'eternità.»
Peter scoppiò a ridere. «Eternità. Che parolone. Ho diciassette anni mio signore anche se ne dimostro meno. In breve le mie spalle saranno più larghe, la mia voce più bassa e la mia faccia coperta di peli.» Il ragazzo scosse la testa, negli occhi ancora l'eco brillante della risata di poco prima. «L'eternità per me durerebbe assai poco.»
«E invece potrebbe durare molto, amico mio, potrebbe durare, per l'appunto, in eterno.»
«Cosa dite mai? Bestemmiate contro Dio e l'ordine naturale delle cosa?»
Stavolta fu il turno di Faust di scoppiare in una fragorosa risata. A Peter parve di scorgere un luccichio sinistro nella bocca aperta di lui, ma subito chiuse gli occhi, colto da un brivido seducente. Il suono rotondo di quelle risa rimbalzò sulle pareti e avvolse il ragazzo come una morbida coperta. «Sei divertente piccolo Peter. Sarai un ottimo compagno. Invero sono quanto di più lontano da Dio tu possa immaginare.»
Senza accorgersene il ragazzo fece un passo indietro. «Siete un diavolo?»
«Alcuni direbbero di sì.»
«E come mai non siete all'inferno?»
«Ma qui è inferno, non ne sono fuori.
Ho visto il volto del Signore e so cos'è il cielo. E tu credi che non mi tormentino diecimila inferni vedendomi tolta quell'estasi? »
«Ma questo è il Dottor Faust!»
Faust annuì compiaciuto. «Vedo che conosci la mia opera.»
«E chi non la conosce! E' stata rappresentata...» La verità insita in quelle parole finalmente colpì Peter come un maglio. «La sua opera...vorreste dire che…»
«Esatto piccolo Peter.» L'uomo fece un cerimonioso mezzo inchino. «Christopher Marlowe, per servirti. Ma tu chiamami Kit, così mi chiamano gli amici e io desidero ardentemente che tu mi sia amico.»
«Ero sicuro di averla già vista da qualche parte» esclamò ripensando al suo ritratto appeso al Globe. «Ma allora aveva baffi e barba! E perchè ha cambiato nome?»
L'uomo gli strizzò un occhio. «Meglio non dare troppo nell'occhio. Non voglio dare alla morte una seconda possibilità, magari con un bel fuocherello sotto i piedi. Non pensi Peter?»
Il ragazzo sbatté le lunghe ciglia. «Mio signore, ma lei è già morto!»
Faust rise a bocca aperta. «Ti sembro morto?» Adesso le zanne rilucevano evidenti alla luce ancorché fioca delle candele.
«In effetti no.»
«Sono un vampiro Peter. Diciamo che tra i non morti c'era qualche mio fervente ammiratore che, avendo assistito alla mia repentina e sfortunata dipartita, rimediò con sollecitudine quanto mai opportuna.
«E lei mi offre lo stesso dono?» chiese il ragazzo con un soffio di voce.
«Sì Peter» confermò l'altro con occhi di un solido nero. Spaventevoli e senza pupilla, osservò atterrito il ragazzo. «Ti offro vita e gioventù eterne» continuò lui. «Ti offro sicurezza ed amicizia. Ti offro protezione dagli altri vampiri poiché invero sarai un non morto debole.»
Peter si fissò i piedi, non osando guardare l'altro dritto in faccia, temendo di rincontrare quello sguardo terribile. «Posso pensarci sopra o mi obblighereste comunque?»
Il volto di Marlowe si fece serio. «Vorresti davvero rifletterci su? Dunque la tua vita è così soddisfacente da non poterla abbandonare senza rimpianto alcuno?»
«Ma sarei per sempre un ragazzino» replicò con veemenza, per un momento dimentico di chi o che cosa aveva di fronte. «Avrei per sempre questo corpo. Non conoscerei mai...l'amore.»
«Ah l'amore» sospirò Marlowe, lo sguardo tornato normale e perso chissà dove. «Impara da Faust a essere forte come un uomo e disprezza la felicità che hai perduta senza averla veramente mai gustata» I suoi occhi si posarono nuovamente sul fanciullo, avvolgendolo in un abbraccio tenero. «Ti lascio solo Peter. Rifletti sulla mia proposta ordunque e accetta con gratitudine il tuo fato.»
Il ragazzo annuì senza parlare, Marlowe era già alla porta senza che lui avesse potuto scorgerlo. Opera di magia, opera del diavolo.
«Tornerò allo scoccare della mezzanotte» annunciò l'uomo, lasciandosi alle spalle una porta chiusa e un ragazzo turbato.

La porta si riaprì sorprendo il ragazzo seduto sul letto. Era già passata un'ora? A Peter era sembrato un battito di ciglia. Cosa aveva pensato? Cos'aveva deciso? Gli sembrava che un mostro vorace gli avesse divorato il ben dell'intelletto giacchè è codesto l'effetto che fa la paura, talvolta. Accettare l'offerta di Faust? Accettare quella sicura e affettuosa protezione? Quel lusso dispiegato ai quattro venti? Marlowe gli aveva confessato che sarebbe stato un vampiro debole. Sarebbe riuscito ad adattarsi? Avrebbe sopportato un corpo fanciullesco per secoli e secoli? Un viso eternamente imberbe? Accettare o andare incontro a quello che la vita, la vera vita aveva in serbo per lui? Affrontare il suo fato?
Faust si sedette accanto a lui. «E' giunta l'ora di decidere amico mio. Rendimi parte dei tuoi pensieri.»
«Non puoi leggermi la mente?»
«Potrei prendere possesso del tuo senno e del tuo corpo solo guardandoti, ma non è ciò che voglio. Desidero un compagno e quindi devo sottostare alla tua volontà pur blandendola con le mie astute lusinghe.»
«Mai lusinga fu più dolce alle mie orecchie, mio signore.»
«Chiamami Faust, te ne prego.»
«Faust.» Peter si alzò in piedi di scatto. «Io...voglio tornare a casa Faust. Non me ne volere. Voglio vivere, voglio invecchiare, voglio amare.»
Il vampiro lo guardò con occhi tristi. «Pur se amare significa morire?»
«Sì»
Faust gli posò le mani sulle spalle magre, in un gesto quasi paterno. «L'amore non è proprietà esclusiva dei vivi, piccolo Peter, anche da vampiro potrai amare, intensamente come da umano, forse ancor di più.»
Peter gli afferrò i polsi rispondendo con ardore. «Ma sarò sempre un ragazzo! Chi amerà me? Morendo sarò felice di aver vissuto se vivendo avrò amato qualcuno che mi ami.»
«E se la vita non te ne desse il tempo?»
«Cosa vorresti dire?» chiese il ragazzo improvvisamente confuso.
«Ah gioventù. Quant'è lontano il tempo in cui il pensiero della morte non mi sfiorava neanche da lontano con le sue bianche dita putrescenti!» sospirò Faust facendo voltare il ragazzo verso lo specchio. «Guardati Peter.»
Peter guardò senza capire.
«Non ti senti stanco mio giovane amico? Non noti il gonfiore delle tue ghiandole e quelle macchioline rosse che ti deturpano le guance? Non senti la tua fronte ardere di un fuoco che nulla ha a che vedere con l'amore?»
Ad ogni domanda Peter si sentiva come se fosse stato caricato di un peso sempre più opprimente.
«La morte ti ha già preso nel suo fatale abbraccio piccolo Peter. Non ha bisogno del mio aiuto per accoglierti nelle folte schiere dei suoi tristi sudditi.»
«Mi stai ingannando.»
«Tira fuori la lingua Peter e vedrai che il mio eloquio non è biforcuto.»
Il ragazzo obbedì rivelando una lingua gonfia e illividita. «La peste nera!» urlò terrorizzato. «E tu lo sapevi?»
Faust annuì. «I miei sensi mi consentono cose che a un normale essere umano sono precluse.»
Peter sentì le lacrime scorrergli sul viso. «E quindi è stata tutta una finzione, una recita? Sono una semplice comparsa in una delle tue tragedie?» Se le asciugò tremante di rabbia. «La possibilità di scelta...l'ora per decidere...»
Faust gli fece cenno di avvicinarsi al letto. «Puoi ancora scegliere piccolo Peter, non ti ho mentito.»
Il ragazzo mosse un piede dopo l'altro, lentamente, come se fossero di piombo, la sua replica fu giusto un bisbiglio. «Potrei guarire.»
«Sì, potresti» disse Faust rialzandogli il mento con due dita. «Vuoi rischiare?»
Peter esalò un lungo respiro. Lo fissò negli occhi neri. «No, non voglio. E tu l'hai sempre saputo.»
«Sì, non lo nascondo. Sì.» Faust aprì le braccia. «E dunque vieni Peter. Dovrò suggere il tuo sangue per tre volte. Non sarà doloroso e la tua nuova vita inizierà.»
Il ragazzo si sedette accanto al vampiro. «Ti prenderai cura di me?»
«Finché camminerò su questa terra amico mio.»
«Non siamo immortali?»
«Non esattamente Peter, alcune cose possono ucciderci. Poi ti spiegherò ogni cosa.»
«E allora mordimi Faust. Se deve essere che sia veloce.»
«Come vuoi essere chiamato?»
Peter lo guardò ad occhi sgranati. «Il mio nome non va bene?»
«Risorgerà un ragazzo nuovo dalle tue ceneri, un ragazzo più forte e più nobile. Non desideri un nome che sia consono?»
Il ragazzo rifletté un attimo e poi abbozzò un mezzo sorriso. «Voglio essere chiamato Byron.»
«Il Byron del Bardo? La commedia che hai visto oggi? Posso sapere il perchè?» Vedendo che Byron abbassava lo sguardo Faust si affrettò ad aggiungere «Se non vuoi dirmelo non ti preoccupare. Mantieni pure il tuo segreto.»
Byron chiuse gli occhi e finalmente si abbandonò sul petto di Faust. Sentì la sua mano scostargli i capelli dal collo, le zanne accarezzargli la pelle. Del suo sogno d'amore restava solo il nome: Byron. Avrebbe mai trovato la sua Rosalina?