giovedì 9 aprile 2009

Meng die 1860


“She gave me an unfriendly look with her dark eyes, before she turned her back on me and stood, hands at her side waiting. Waiting for what I wasn’t sure.”

-Narcissus in chain-

Jean-Claude si appoggiò con una mano guantata al cancello di legno a due piani che con le sue pagode colorate delimitava l’ingresso nella Chinatown di S. Francisco. L’inverno del 1860 era insolitamente freddo per il clima mite di quella parte della costa occidentale e anche se un vampiro non avvertiva le intemperie era necessario vestirsi adeguatamente in ossequio al costume umano.
Erano passate le dieci di sera e la notte era debolmente illuminata dalle lanterne di carta colorate del mercato cinese di Grant street, ma la luce fioca poteva bastare ad un osservatore attento per notare l’estremo pallore della sua pelle o un repentino lampeggiare di zanne. La sua vera protezione era la sua inumana bellezza: così perfetta, così assoluta da far sbiadire tutto il resto in una nebbia confusa di desiderio e attrazione. Il vampiro si lisciò le basette con l’altra mano, lo sguardo perso nelle bancarelle colorate al di là del cancello. Le dita, in un movimento automatico, raggiunsero i corti capelli corvini che un tempo gli adornavano il collo in lunghi riccioli a spirale. Non si era ancora abituato a quel taglio, ma l’imperativo del Master della Città era quello di rendersi invisibili tra la folla e anche se nel suo caso l’impresa era impossibile aveva adeguato abiti e capelli alla moda del tempo: il frac aderente, i pantaloni a tubo, la camicia dal morbido jabot fermato da un prezioso spillone e le scarpe di lucida vernice nera non gli dispiacevano affatto, ma rimpiangeva i suoi morbidi ricci. Così come rimpiangeva molte altre cose della sua vita di più di un secolo prima, ben più importanti di abiti e mode: Asher e Julianna.
Asher sfregiato e ridotto all’ombra di sé stesso, smarrito nell’odio e nel rancore, Julianna polvere bruciata nel vento e urla nella notte. Quella notte in cui Dio e la sua canea vociante gli avevano tolto tutto. La sua famiglia, il suo amore, la sua sicurezza. La sua dignità.
Jean-Claude sospirò, riscotendosi dai ricordi e lasciandoseli alle spalle come polvere indesiderata sul bavero della giacca. Sapeva che come la polvere sarebbero tornati e con loro il dolore, ma non c’era tempo per annegare nell’autocommiserazione: c’erano compiti da svolgere e persone da incontrare. C’era il Master da soddisfare e una vita da vivere. Nonostante tutto. Era la prima volta che ricopriva quell’incarico e non poteva permettersi di fallire. Non con un Master che lo ignorava così platealmente. Entrò nel cancello e si lasciò sommergere dalle voci, dai colori e dagli odori. Spezie, ortaggi dalle strane forme, teste di maiale fumanti, ideogrammi colorati. Tra le molte lingue che conosceva non figurava il mandarino e forse, se il suo destino era di restare per molto ancora a S. Francisco, sarebbe stato il caso di imparare. Ignorando gli sguardi che lo avvolgevano avidi, cercando di limitare il più possibile l’emanazione inebriante del suo potere, svoltò in un vicolo e si fermò davanti a un piccolo ristorante dall’aria bisunta. Entrò scostando con il bastone di mogano la tenda di perline colorate che danzarono felici al suo passaggio. Si guardò in giro nel locale quasi deserto cercandone il proprietario, un certo Meng. Suonò il piccolo campanello d’ottone sul bancone di legno scrostato e aspettò accarezzando distrattamente la testa di lupo scolpita nel pomello del bastone. Di sicuro non era lì per il dim sum[1].
‹‹Buonasera. Lei dev’essere Mr. Pierce›› lo salutò in un inglese fantasioso un piccolo cinese abbigliato con una sgargiante tonaca di foggia tradizionale. John Pierce era lo pseudonimo che aveva scelto per quella transazione. ‹‹Buonasera Meng›› rispose Jean-Claude eliminando ogni traccia di accento francese dalla sua voce.
‹‹E’ una serata perfetta per gli affari, non è vero Mr. Pierce?››
‹‹Sono sicuro che per lei è sempre il momento giusto Meng››
‹‹Vero Mr. Pierce. Verissimo. Ma andiamo nel mio ufficio. Staremo più comodi.››
Dopo essersi debitamente guardato in giro Meng fece cenno a Jean-Claude di seguirlo nel magazzino. Davanti al vampiro in attesa il cinese si appoggiò a una scaffalatura in ferro colma di generi alimentari fino al soffitto. Lo scaffale si mosse cigolando, girando su sé stesso e rivelando la presenza di un lungo corridoio. Jean-Claude entrò nel passaggio, mentre Meng richiudeva la finta parete alle sue spalle cancellando così ogni traccia della loro presenza.
Le narici del vampiro vibrarono: il corridoio dava su numerose stanze tenuemente illuminate da cui proveniva un odore acre e piccante che ricordava leggermente l’ammoniaca. Risatine attutite e deboli lamenti rendevano l’atmosfera ovattata e innaturale. Da una delle porte riuscì a scorgere un uomo semisdraiato su cuscini imbottiti che aspirava fumo da un pipa collegata con un lungo tubo a un fornelletto. Jean-Claude scrollò le spalle rivolgendo nuovamente la sua attenzione al piccolo cinese di fronte a lui. Chi era lui per giudicare la depravazione altrui? L’oppio non era la prima via di uscita che l’uomo aveva creato per evadere dalla sua quotidiana miseria e non sarebbe stata certo l’ultima.

La porta si aprì lasciando entrare una lama di luce tremolante. He Kexin cercò di mimetizzarsi con gli stracci sporchi che le facevano da giaciglio. Sapeva che era inutile eppure era più forte di lei, talmente prepotente era il desiderio di confondersi col pavimento, di sparire nel nulla. Non aveva le idee tanto chiare, la mente ancora confusa dall’ultima dose d’oppio, ma il suo orologio interno le diceva che era presto: presto per la solita scopata con quel bastardo di Meng, presto per i calci e le umiliazioni, presto per essere passata di cliente in cliente. Troppo presto.
He si appiattì il più possibile cercando di nascondersi dietro la scrivania senza riuscirci: le pesanti catene fissate al muro che le bloccavano il collo e la caviglia glielo impedivano. Quando la porta fu aperta del tutto e quattro piedi entrarono nella sua visuale si sentì avvolta da un vento innaturalmente gelido che le fece accapponare la pelle vestita solo di lividi. Accanto ai pesanti scarponi di Meng, così assurdamente in contrasto con la tonaca di raso ricamato, c’erano due scarpe di vernice talmente lucide da poter riflettere la sua immagine. He alzò piano lo sguardo sulle lunghe gambe del loro proprietario, sul torso snello fasciato dal frac nero, sul viso in cui riuscì a mettere a fuoco solo gli occhi: di un blu talmente scuro da sembrare quasi nero, un blu che le ricordò la prima notte sulla nave che l’aveva portata in America con la famiglia, quando sporgendosi dal parapetto aveva visto l’oceano. Il freddo la colse nuovamente facendola rabbrividire.
‹‹Si accomodi Mr. Pierce, si sieda pure›› sentì dire al lurido porco. Aveva tirato fuori dal cassetto l’inglese delle grandi occasioni e spolverato il suo miglior tono tutto zucchero e miele, quello che riservava ai clienti. He pensò che forse era un pezzo grosso e che valeva la pena restare all’erta: aguzzò le orecchie sforzandosi di mantenere lo sguardo vacuo. Il porco doveva credere che non c’era con la testa, doveva credere che non valeva la pena prestarle attenzione.
Occhi blu gettò un’occhiata prima a lei e poi a Meng, restando in silenzio. In quel breve sguardo He lesse la pietà, odiandolo per questo. Preferiva la lussuria e l’abiezione, preferiva che nessuno le ricordasse che un tempo era stata una persona. Un tempo in cui era stata piena di sogni e dolci sciocchezze, un tempo in cui era stata figlia affezionata se non amata. Un tempo che sembrava vecchio di secoli mentre erano solo due anni fa. I suoi diciott’anni, quando il caro papà si era liberato di un’inutile bocca da sfamare e di una dote da preparare per venderla a Meng. La sua festa di compleanno era stata indimenticabile.
‹‹Non si preoccupi Mr. Pierce, può parlare liberamente, questa è la mia cagna, He Kexin.›› Lo tranquillizzò il porco.
‹‹Saluta He, abbaia al signore.››
He cercò di ingoiare il grumo d’odio che le soffocava la gola senza riuscirci. Il porco le assestò un calcio nelle costole che la fece sbattere contro il muro strappandole un guaito e oscurandole la vista già annebbiata. ‹‹La scusi Mr. Pierce, è una cagna stupida.››
Quando He fu capace di rialzare nuovamente il capo vide che Meng si era seduto sul suo scranno scolpito dietro la scrivania e che occhi blu si era accomodato di fronte. Le parve di scorgere un nuovo lampo di interesse sul suo viso e poi più nulla: il suo volto si fece immobile e vacuo come le porcellane in bella mostra sul tavolo da tè. Occhi blu era un mistero, pensò la ragazza, un mistero che, forse, valeva la pena cercare di capire.

Jean-Claude si adagiò sulla sedia di legno intagliato cogliendo con la coda dell’occhio lo sguardo della ragazza. Era bella sotto la patina dello stordimento e il porpora dei lividi: piccola e snella, viso a cuore dai grandi occhi a mandorla, liscissimi capelli corvini che avrebbero avuto bisogno di una bella lavata. Appena l’aveva vista un rigurgito di pietà gli aveva teso un agguato, immediatamente schiacciato sotto il tacco del suo ferreo autocontrollo. Non era niente che non avesse già visto o sperimentato personalmente nella sua lunga vita. Niente che lo potesse impressionare. La curiosità però aveva risvegliato il suo interesse e con la seconda occhiata si permise il lusso di scandagliare rapidamente la sua mente. L’odio bruciante che vi colse lo fece quasi trasalire: sentì il morso della frusta, il peso di corpi non voluti, i colpi del bastone. Sentì il tintinnio degli yuan passare di mano, l’abbraccio di una madre in lacrime, gli schiaffi di un padre vile. Ritirò il suo potere in fretta e furia come una mano scottata da acqua bollente. Quel tintinnio, quell’abbraccio… risuonarono nel suo cuore con l’eco di altri dolorosi ricordi. Si rifugiò dentro sé stesso, ritirandosi nell’assoluta immobilità degli antichi. Sapeva che era disturbante per gli umani, ma gli serviva per recuperare la compostezza necessaria per condurre l’affare. Calmatosi, riaprì il suo volto alle emozioni, rivolgendosi al piccolo aguzzino che lo fissava dall’altra parte della bella scrivania di scuro legno laccato decorata nei toni del rosso e dell’oro. ‹‹Mi aspettavo di parlare da solo con lei, Meng›› si lamentò notando distrattamente che alle pareti erano appesi preziosi ventagli dipinti nei medesimi colori. ‹‹Il mio capo non ne sarà contento.››
‹‹Come le ho già spiegato, Mr. Pierce, He Kexin è la mia cagna e i cani non sanno parlare. Dubito persino che si renda conto di quel che succede. Vero He?›› chiese l’uomo grattando distrattamente la testa della ragazza piegata accanto alle sue ginocchia.
Jean-Claude aveva seri dubbi, ma decise di ignorarli e di parlare. ‹‹Alexandros vuole sapere dove e quando gli consegnerete la merce.››
‹‹E’ una partita d’oppio fantastica Mr. Pierce›› cinguettò Meng traboccando cupidigia da ogni poro. ‹‹Un quintale in pani da mezzo chilo l’uno della migliore qualità. Solo il massimo per il signor Alexandros.››
‹‹E sarà bene che sia così Meng o la sua vendetta sarà terribile›› lo informò il vampiro cogliendo un bagliore quasi di avvertimento negli occhi di He e consapevole che la sua minaccia, senza conoscere la loro vera natura, non suonava terribile neanche la metà di quel che era.
‹‹Non ingannerei mai uno dei miei migliori clienti, Mr. Pierce. Piuttosto veniamo al dunque: i miei uomini vi aspetteranno giovedì prossimo, all’una di notte al dock n° 3 del porto.››
Jean-Claude assottigliò gli occhi. ‹‹E’ un posto sicuro?››
Meng si strinse nelle spalle. ‹‹La guerra dell’oppio è finita e le autorità sono impegnate a controllare i cercatori d’oro e d’argento che continuano a spendere e spandere senza remore.››
‹‹Lei dice?›› ribatté Jean-Claude piegandosi in avanti, appoggiandosi al bastone. ‹‹Non mi sembra che la polizia sia troppo vogliosa di far fallire i saloon e i teatri che la città ha costruito per intrattenere i minatori.››
La voce di Meng si fece artificiosamente lamentosa. ‹‹Dai giorni della corsa all'oro, San Francisco è diventata una città senza freni né leggi.››
‹‹E le dispiace? Credevo che sulla Barbary Coast[2] ci fosse posto per ogni genere di depravazione.››
‹‹No, non mi posso lamentare›› ridacchiò il cinese. ‹‹L’oppio si vende sempre meglio: consola i minatori sfortunati e alleggerisce la fortuna dei pochi che ce la fanno.››
‹‹Le credo sulla parola Meng, ma il nostro mercato è ben diverso.››
‹‹Può darsi Mr. Pierce, ma borghese o operaio che sia, il risultato finale è sempre lo stesso: soldi che passano di mano dal più stupido al più furbo.››
‹‹I soldi, Meng, passeranno dalla mia mano alla sua›› sussurrò Jean-Claude alzandosi in piedi e insinuando un filo di potere nella voce. ‹‹Mi sta forse dando dello stupido?››
‹‹Ovviamente non è di lei che parlavo›› si affrettò a ribattere Meng.
‹‹Ovviamente›› concesse Jean-Claude risedendosi. ‹‹Parliamo del prezzo.››
Il cinese si lisciò nervosamente la lunga e sottile barbetta. ‹‹I rischi sono aumentati e quindi è aumentato anche il costo.››
Il vampiro alzò un sopracciglio ben disegnato. ‹‹Ma non era un affare sicuro?››
‹‹Qui sì›› sospirò Meng. ‹‹Ma in Cina ci sono ancora numerosi disordini e il commercio d’oppio non è ben visto: questo ha fatto lievitare i costi all’origine.››
Jean-Claude scosse la testa. ‹‹Non posso accettare senza parlarne prima con Alexandros.››
‹‹Certamente Mr.Pierce. Si consulti pure col suo capo, ma ho bisogno di una risposta entro domani.››
‹‹Domani sera l’avrà.››
Meng si fregò le mani soddisfatto. ‹‹Adesso possiamo passare a cose più piacevoli; le posso offrire qualcosa da mangiare?›› propose indicando un cestello di bambù, un bollitore e delle tazze di porcellana su una console appoggiata alla parete. Al cenno di diniego del vampiro continuò. ‹‹Allora una tazza di Hua-cha? E’ un tè verde aromatizzato al crisantemo, molto leggero.››
Jean-Claude annuì, pensando che berne qualche sorso, il massimo che poteva permettersi un vampiro, l’avrebbe aiutato a calarsi maggiormente nei panni dell’umano. Si alzò e seguì Meng verso la console trovandosi accanto a quel corpo ripiegato sul cumulo di stracci. Ora che era più vicino notò che per terra, sotto la scrivania, c’era una ciotola con delle ossa semi-spolpate. Il contrasto di quell’immagine con la porcellana delicata e il tenue profumo del tè lo fece sentire a disagio, tanto che urtò con il piede la catena che assicurava la caviglia della ragazza, perdendo leggermente l’equilibrio e facendo cadere a terra qualche goccia del liquido torbido. La vernice tersa della sua scarpa sinistra si macchiò. Jean-Claude riposò la tazza sulla console cercando il fazzoletto ricamato che aveva nella tasca, ma Meng lo interruppe con un gesto.
‹‹Pulisci cagna!›› ordinò seccamente.
Jean-Claude lo fissò interdetto, senza capire, finché si accorse che la ragazza si era allungata fino ai suoi piedi, la lingua rosea che lappava la scarpa come avrebbe potuto fare un gattino col latte. He alzò la testa a guardarlo e la penosa imitazione di un sorriso le distorse i bei lineamenti.
‹‹Brava He›› si complimentò Meng notando gli sguardi tra i due e rivolgendo nuovamente la sua attenzione a Jean-Claude. ‹‹Non era necessario›› protestò il vampiro.
‹‹Le piace la mia cagna?›› indagò l’altro senza ricevere risposta. ‹‹Ma lei è contenta, vero He?›› continuò ridacchiando come per uno scherzo. ‹‹E’ il suo nome›› spiegò Meng. ‹‹He Kexin significa vale la pena essere contenti.››
Jean-Claude sorrise senza scoprire le zanne, dissimulando abilmente il disgusto che provava.
‹‹Gliela presto se vuole›› offrì il cinese. ‹‹Così potrà dire al suo capo che Meng tratta i clienti con ogni riguardo.››
Il vampiro fece per rifiutare, pensando che alla corte di Belle offrire uno schiavo sporco e male in arnese difficilmente sarebbe stato considerato un riguardo, ma un’occhiata in tralice di He lo fece ricredere. Quella ragazza gli ricordava suo malgrado sé stesso: una forza nascosta, un’anima d’acciaio sotto un corpo debole. Forse poteva fare qualcosa per lei e magari, allo stesso tempo, far contento il Master. Era troppo tempo che languiva nei suoi ranghi completamente ignorato. Era giunto il momento di fare una mossa.

Meng li accompagnò in una delle stanze che davano sul corridoio, un locale arredato con un letto matrimoniale, fortunatamente pulito, e poche altre suppellettili. Una volta che Meng fu uscito He ci si sdraiò sopra a gambe aperte, fissando Jean-Claude con occhi vacui.
‹‹Puoi smetterla con la commedia›› le disse Jean-Claude sedendosi accanto a lei sul bordo del letto e poggiando il bastone a terra. ‹‹Se ne è andato.››
‹‹Cosa vuoi dire?›› rispose la ragazza con una bella voce morbida, ancorché un po’ impastata. Si avvicinò al vampiro e gli si strusciò seduttivamente sulla coscia.
Jean-Claude la ignorò. ‹‹Lo sai perfettamente: lo sguardo assente…l’aria remissiva…è tutta una recita per Meng!››
Lo sguardo di He si fece pungente e acuto come la punta di uno spillo.
‹‹Tranquilla ma chère›› continuò il vampiro. ‹‹Non sarò certo io a rovinarti il gioco.››
‹‹Sei francese?››
‹‹Oui.››
‹‹E allora cosa vuoi da me?›› chiese lei. ‹‹Vuoi fare sesso?››
‹‹Non mi interessano certe cose, puzzano di stupro.››
La ragazza rise amaramente. ‹‹Se vedessi quel che mi passa Meng ogni sera non diresti così. Sei bello, giovane, pulito; perché non dovrei voler far sesso con te?››
‹‹Perché sento che non ti interesso chérie; ed essere un dovere più piacevole di altri non mi lusinga granché.››
‹‹Non capisco.››
‹‹Non ti ricordi cosa vuol dire il vero desiderio?››
He lo guardò quasi con disprezzo. ‹‹Non dirmi che sei uno che crede nell’amore.››
‹‹Un tempo ci credevo ma ora non più›› rispose l’altro scrollando le spalle. ‹‹Adesso però non sto parlando d’amore›› sussurrò sfiorandole lo zigomo con l’indice. ‹‹Sto parlando della brama della carne›› continuò piegandosi sulla ragazza e sfiorandole le labbra con le proprie. Vi alitò solo un piccolo assaggio del suo potere, che bastò a strapparle un lungo gemito e a farla inarcare sul letto. ‹‹Hai capito la differenza tra dovere e piacere?›› rise Jean-Claude facendola rabbrividire nuovamente. Ad He sembrò di poter stringere quella risata tra le dita, liscia come una pezza di seta, morbida come una piuma che l’avesse sfiorata fuori e dentro, in posti che un uomo normale avrebbe potuto toccare solo con le mani. ‹‹Che cosa sei occhi blu?››
Jean-Claude si raddrizzò e le sorrise, mostrando le zanne. ‹‹Un vampiro.››
He sbatté gli occhi ripetutamente, restando in silenzio mentre Jean-Claude rideva di nuovo. ‹‹Non sono un’allucinazione da oppio piccola He. Sono davvero un vampiro.››
He si rialzò a sedere e si avvicinò all’uomo con circospezione.
‹‹Hai paura?›› Le chiese Jean-Claude.
‹‹No.››
‹‹Dovresti averne.››
‹‹Cosa vuoi da me?››
Jean-Claude la fissò negli occhi di giaietto, divertito dalla sua impudenza. ‹‹Tu da me non vuoi niente?››
‹‹Un’altra lezione sulla differenza tra piacere e dovere non sarebbe male›› ridacchiò la ragazza.
‹‹Non adesso He Kexin. Adesso ho un’altra lezione in serbo per te.››
La ragazza arretrò istantaneamente sul letto, raggomitolandosi verso la testata.
‹‹Cos’ho detto per ispirarti quella paura che ti vantavi tanto di non provare?›› gli chiese con noncuranza velata di sarcasmo.
He lo fissò con occhi torvi.
Jean-Claude le sorrise lievemente, gli occhi blu freddi e calcolatori. ‹‹Ho bisogno di sostenitori mia bella bambola di giada. I vampiri di ogni città rispondono delle loro azioni a un Master che dispone di loro a proprio piacimento. Solo cercando il suo favore si può salire di grado ed avere più potere. Solo avendo più potere si può sperare nella libertà.›› Il vampiro fece una pausa tornando a fissare la ragazza negli occhi. ‹‹Sono sicuro che mi comprendi perfettamente.››
He Kexin annuì, la sete di potere la capiva benissimo.
Il vampiro sospirò. ‹‹E io non sono esattamente tra i favoriti del Master di S. Francisco. Ho bisogno di sostenitori.››
‹‹Come potrei sostenerti?››
‹‹Chi meglio di un figlio su cui avrei il potere di vita e di morte?››
‹‹Un figlio?›› ripetè incredula la ragazza.
‹‹Un non morto, piccola›› le spiegò lui. ‹‹Sento il potere in te, sento che potresti essere un vampiro temibile.››
‹‹Non dovrei più stare con Meng.››
‹‹Oui.››
‹‹E sarei potente?››
‹‹Non subito ma chère e non so dirti quando. Ma sono sicuro che prima o poi lo sarai.››
‹‹E subito? Cosa succederà?››
‹‹Subito ci sarà un prezzo da pagare, ma non sarà più alto di quello che stai già pagando.››
‹‹Cosa devo fare per essere come te?››
‹‹Dammi un buona ragione, bambola di giada. Dovrò rispondere di te ad Alexandros, il mio Master. Dammi un solo motivo che sia accettabile per lui e ne riparleremo.››

La stanza del trono accolse Jean-Claude con il solito sfarzo, seppur minimale in confronto ai fasti decadenti a cui Bellemorte l’aveva abituato: l’ampio salone dipinto in un bianco abbagliante, scaldato dalle numerose nicchie scolpite nella pietra e colme di vasi e suppellettili greche, mostravano, senza ombra di dubbio, l’amore per lo stile neo classico del Master della Città. Un piccolo portico dalle snelle colonne in marmo di Carrara avvolgeva in un abbraccio imponente lo scranno dello stesso materiale su cui era assiso Alexandros. Il Master era seduto sul trono con la schiena rigida e eretta, in posa quasi marziale, e il suo aspetto, pensò il vampiro avvicinandosi al trono col capo rispettosamente abbassato, la corporatura possente, il collo taurino, i lineamenti gradevoli ma rozzi, tagliati con l’accetta, ricordavano più che il condottiero da cui aveva preso il nome, il suo famoso cavallo, l’infaticabile Bucefalo. Del resto era risaputo che Dragon, regina della guerra e dell’ira così come la sua sourdre de sang lo era del sesso e della lussuria, prediligeva quelle qualità nei suoi seguaci. Lui era l’unico vampiro della linea di Bellemorte nel bacio di Alexandros e la mancanza di un suo simile, la mancanza di qualcuno che comprendesse a fondo quanto fosse sfibrante sostenere il peso della brama della carne lo faceva sentire più solo di quanto fosse mai stato.
‹‹Jean-Claude!›› lo apostrofò il Master con voce secca una volta che il vampiro fu inginocchiato ai suoi piedi. ‹‹Che notizie mi porti da Meng? Quando arriva il carico?››
‹‹La nave con l’oppio attraccherà tra due giorni mio signore. Meng ci ha dato appuntamento al dock n°3 per lo scambio.››
‹‹Perfetto›› annuì il master con un sorriso soddisfatto. ‹‹Occupati di portare a termine la transazione e poi prendi accordi con Augustus per organizzarne lo smercio. Voglio allargare i nostri canali di distribuzione.››
‹‹Ma-›› esitò Jean-Claude. Non sapeva come confessare ad Alexandros il tradimento del cinese: ambasciator non porta pena non era un detto comune tra i vampiri.
‹‹Ho sentito forse un ma uscirti dalla bocca?›› sibilò Alexandros a labbra strette. ‹‹Ma è una congiunzione che non mi piace.››
Jean-Claude esalò un profondo respiro cercando di trarne una forza che non sentiva di possedere. ‹‹Una fonte affidabile mi ha informato che Meng ci sta ingannando, Alexandros.››
‹‹Come?››
‹‹La partita che ci ha destinato non è della qualità promessa›› spiegò Jean-Claude. ‹‹Pare che siano scarti di dubbia origine tagliati con sapone.››
‹‹Come è possibile?›› urlò Alexandros stringendo i pugni. ‹‹Come è possibile che qualcuno osi solo pensare di potermi ingannare? Gli hai fatto capire cosa significa mettersi contro di me?››
‹‹E’ difficile minacciare in modo efficace quando non puoi rivelare i tuoi veri poteri.››
Gli occhi di Alexandros si strinsero minacciosamente. ‹‹Soprattutto quando i suddetti poteri non servono a nulla. Vero, mio bel damerino?››
All’assenza di reazioni da parte dell’altro il master continuò.
‹‹Ci sono minacce e vendette comprensibili agli umani usate con successo da millenni, ma scommetto che la Grande Puttana che ti ha dato la vita non si è disturbata ad insegnartelo. Preferisce che i suoi accoliti siano dei perfetti leccaculo.››
La vampira immediatamente dietro il trono insinuò una mano dentro il mantello del suo sire senza staccare gli occhi da Jean-Claude. Alexandros sospirò e fece un gesto con la mano come a voler scacciare una mosca. ‹‹Vattene adesso. Penserò a cosa fare. Quel bastardo avido di Meng dovrà essere un esempio per tutti.››
Jean-Claude non si mosse restando in ginocchio di fronte allo scranno. ‹‹Perché sei ancora qui?›› gli chiese Alexandros spazientito.
‹‹Ho una richiesta da farti›› sussurrò l’altro.
‹‹Una richiesta!›› rise Alexandros seguito a ruota dai suoi protetti. ‹‹Il leccaculo osa fare una richiesta! Sentiamo Jean-Claude! Dopotutto hai assolto il tuo compito, non sia mai detto che Alexandros è un master ingiusto.››
Jean-Claude esitò qualche secondo e poi parlò con voce ferma. ‹‹Vorrei il permesso di fare un vampiro.››
‹‹Tu?›› La risata morì subito sulle labbra del master. ‹‹Un nuovo vampiro? Mi basta un solo depravato nel mio bacio.››
‹‹E’ la donna che mi svelato il piano di Meng, vorrei premiare la sua lealtà›› spiegò Jean-Claude.
‹‹Una donna! E come l’hai convinta a tradire Meng? Gli hai sbattuto in faccia le tue belle ciglia? Te la sei scopata?›› Alexandros si alzò dal trono cominciando a girare intorno a Jean-Claude, accerchiandolo come uno squalo assetato di sangue. ‹‹Dovevo immaginarmelo›› disse con disprezzo.
L’altro restò a capo chino, senza ribattere, in attesa.
‹‹Non c’è bisogno di un premio per delle informazioni che avresti potuto carpire con un semplice sguardo dei tuoi occhioni blu.››
Jean-Claude insisté, cercando di sembrare convincente. ‹‹Sento il potere vibrarle sotto la pelle Alexandros, sarà un degno membro del tuo bacio.››
L’altro si inginocchiò di fronte a lui e gli afferrò bruscamente il mento con la mano enorme, costringendolo ad alzare la testa. ‹‹Devi restare il solo.››
Jean-Claude coprì quella mano con le sue lunghe dita, fissandolo negli occhi. ‹‹Perché?››
Il contatto con quella pelle ruvida, scabra, l’odore improvviso del desiderio che gli solleticò le narici risvegliò il suo demone, che allungò le dita frementi verso un pasto che non poteva assolutamente permettersi di assaggiare. Prima che potesse rialzare le barriere metafisiche che tenevano l’ardeur sotto controllo ebbe una fugace immagine del proprio corpo nudo sbattuto senza cerimonie sul letto, del proprio viso affondato nel cuscino, del respiro pesante di Alexandros nel suo orecchio.
La mano del Master si scostò bruscamente dal viso di Jean-Claude, come se scottasse. Le sue pupille si persero in un turbine marrone, le sue ossa si fecero oro liquido sotto la pelle improvvisamente traslucida e il potere di Dragon colpì il vampiro più giovane come un maglio d’acciaio facendolo vacillare. Jean-Claude dovette poggiare le mani sul pavimento per non cadere sopraffatto dall’urto.
La rabbia e l’ira che gli covavano sotto la pelle traboccarono trionfanti come vino da una coppa. Avrebbe potuto uccidere Alexandros, avrebbe potuto essere il nuovo Master della Città. Sarebbe stato libero, padrone di sé stesso. Pazzia. Follia. Il potere recedette come l'onda del mare sulla spiaggia lasciando Jean-Claude tremante e spaventato al pensiero del rischio che aveva corso. Alexandros lo prese per lo sparato della camicia e lo tirò su all’altezza del suo viso. I suoi occhi erano nuovamente normali, colmi di qualcosa che l'altro non avrebbe saputo definire a parole. Alexandros gli piantò un rude bacio sulle labbra, ma prima che l’altro potesse rispondervi lo spinse a terra con una mano.
‹‹Vai a trasformare la tua puttanella e levati dalla mia vista.››
Jean-Claude si asciugò le labbra col dorso della mano e si rialzò lentamente.
‹‹Hai capito?››
‹‹Oui Master›› annuì a capo chino. Aveva capito benissimo. Alexandros aveva paura dell’ardeur: per lui in quel bacio non c’era più futuro.

He Kexin uscì dal bagno in una nuvola di vapore appoggiandosi allo stipite della porta e lasciandosi ammirare: i lividi erano ancora in bella mostra, ma non era quella la prima cosa che saltava all'occhio. C'era una nuova confidenza nella sua voce, quella forza che Jean-Claude aveva intravisto sotto la sua pelle il giorno prima.
Adesso quell'energia le illuminava gli occhi a mandorla e traspariva dal suo sorriso impudente. ‹‹Va meglio così?››
‹‹Molto meglio›› le rispose Jean-Claude con voce roca abbandonato sul letto dell'albergo che aveva preso per la notte.
‹‹Non ho mai conosciuto un maniaco della pulizia come te, occhi blu›› ridacchiò He. ‹‹Gli uomini che ho conosciuto finora parevano interessati a ficcarmelo dentro e basta.››
‹‹Preferirei non essere paragonato a quelle bestie.››
He si avvicinò al letto ancheggiando sinuosamente. ‹‹Non. Era. Mia. Intenzione.›› Salì sul letto a quattro zampe e si strusciò sul corpo dell'uomo come una gatta. Un tremito incontrollabile le percorse il corpo.
‹‹Che ti succede?›› le chiese il vampiro prendendola per la spalla.
‹‹E' l'astinenza da oppio: è più di sette ore che non ne prendo una dose.››
‹‹Quando sarai un vampiro non ne avrai più bisogno.››
‹‹Come avverrà?››
‹‹Essere un vampiro?››
He annuì.
‹‹Ti devo mordere ma chere. Ti devo mordere e succhiare il sangue per tre volte togliendoti la vita goccia a goccia. Solo sospesa tra la vita e la morte saprai trovare la strada per rinascere come vampiro.››
‹‹Dove mi morderai?›› gli alitò lei sul viso accarezzandolo con i liscissimi capelli neri.
‹‹Dovunque ci sia una grossa arteria, bambola di giada: sul collo›› e gli sfiorò la giugulare pulsante con le labbra. ‹‹Sul polso›› e glielo strinse in una morsa piacevolmente dolorosa. ‹‹All'inguine›› e le insinuò le lunghe dita nella piega inguinale facendola rabbrividire. ‹‹Ma non devi temere il dolore ma cheré. Il mio potere può renderla un’esperienza piacevole.›› La parola piacevole le accarezzò la schiena come morbida pelliccia. ‹‹Molto piacevole.››
‹‹Non voglio che lo sia›› disse la ragazza afferrandogli entrambe i polsi e bloccandoli sul letto. Sapeva che Jean-Claude avrebbe potuto liberarsi in qualsiasi momento e la cosa rendeva il tutto ancora più eccitante. Era come avere una tigre sotto le mani. Il vampiro la ribaltò all'improvviso facendola finire sotto di sé ancora con le sue mani sui polsi. ‹‹Perché?››
‹‹Perché ci sarà tempo per il piacere ma voglio ricordare tutta la vita questo momento. Il piacere si dimentica.›› Gli occhi di He si fecero senza fondo, come pozzi neri. ‹‹Il dolore si ricorda per sempre.›› Ed erano tante le cose che non si sarebbe mai più dimenticata.
‹‹Non posso darti torto He Kexin›› sospirò Jean-Claude.
‹‹Non chiamarmi più con quel nome occhi blu. He Kexin è morta già da tempo ma adesso ha la possibilità di rinascere a nuova vita e sei tu a darmi questa occasione.››
Jean-Claude si sdraiò di fianco, osservando la ragazza appoggiato sul gomito. ‹‹I vampiri assumono un nuovo nome una volta trasformati. Hai già un'idea per il tuo?››
‹‹Voglio chiamarmi Meng die.››
‹‹Assomiglia al nome del tuo aguzzino›› osservò Jean-Claude incuriosito. ‹‹Cosa significa nella tua lingua?››
Meng die sorrise. Un sorriso aperto e fanciullesco che le lasciò gli occhi inespressivi di un pesce morto. ‹‹Non è la mia lingua. E' inglese.››
Il vampiro sbatté gli occhi. ‹‹Meng... muori?››
Lei annuì. ‹‹Non lo trovi appropriato?››
‹‹Molto›› disse Jean-Claude abbandonandosi sul letto accanto alla ragazza e chiedendosi se non avrebbe affondato i denti in un amaro boccone. ‹‹Ricordati che il rapporto tra figlio e padre è sacro tra noi. Il mio potere mi consente di toglierti la vita così come te l'ho data.››
‹‹Cosa puoi farmi?››
Jean-Claude si voltò verso di lei con un movimento così veloce da sembrare magia a semplici occhi umani. Snudò le zanne sibilando, gli occhi senza pupille che lanciavano bagliori bluastri sulle orbite delicate. ‹‹Il giorno che lo scoprirai ma chere sarà troppo tardi. Augurati di non venirlo mai a sapere.››
‹‹Lo ricorderò›› disse la ragazza fissando un punto imprecisato sul suo torace. Quegli occhi blu che poco prima le erano sembrati solo belli adesso le sembrarono diversi: pieni di cose nascoste in profondità, cose che potevano tenderle un agguato. Non doveva sottovalutare Jean-Claude, non doveva fare quell'errore, ma avrebbe anche ricordato che aveva avuto pietà di lei. Un giorno le sarebbe tornato utile, pensò. Ne era più che sicura.


[1] Pietanze, generalmente cotte a vapore, che accompagnano il tè cinese
[2] Nella seconda metà del 1800 la dissolutezza della città le valse il soprannome di "Barbary Coast" per la triste somiglianza con la costa del Nord Africa, afflitta dai pirati.

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