giovedì 2 aprile 2009

Byron 1628

“Here was a face younger and more innocent seeming than Nathaniel’s. He’d been in his late teens when his master had brought him over.”

-Incubus Dreams-

C'era un odore pesante nell'aria. Le zone fuori Londra, dove i poveri vivevano in condizioni igieniche inesistenti, furono colpite per prime dalla peste. Durante l'inverno, molti furono contagiati e morirono, ma il freddo intenso aiutò a contenere l'epidemia e la situazione non destò eccessive preoccupazioni. Il Re Carlo II era ancora in città, i teatri erano aperti e la gente voleva solo divertirsi. Ma all'inizio di marzo, con il sopraggiungere di un’afa insolitamente opprimente per quel periodo, la peste cominciò a diffondersi su larga scala e molto rapidamente.
La primavera del 1628 non portava rondini ma oscuri presagi di morte .

“Rosalina: Avete l'anima malata?
Byron: Malata al cuore.
Rosalina: Ahimè! Cavategli sangue.
Byron: Gli farebbe bene?
Rosalina: La mia scienza medica dice di sì.
Byron: Volete trafiggerlo coi vostri occhi?
Rosalina: Niente affatto, ma col mio coltello sì.
Byron: Che Dio vi conservi a lungo in vita.
Rosalina: E voi che vi salvi dal vivere a lungo!
Byron: Non ho tempo per rendervi grazie. ”

«Non devi rendegli grazie! Ficca la pagnotta nel forno!» L'urlo sguaiato fu seguito da un coro di risate e da altrettanti commenti salaci mentre Richard Burbage e l'attore adolescente che interpretava Rosalina facevano del loro meglio per ignorare l'accaduto. Sotto il palco ci fu un fuggi fuggi generale, ma l'impresario imbufalito fece in tempo ad afferrare per le orecchie due ragazzini e a sbatterli, senza troppe cerimonie, fuori dal teatro. «E non fatevi più vedere! Il Globe non è per gentaglia come voi.»
Il più piccolo dei due, un ragazzino dai riccioli bruni che non dimostrava più di quindici anni, si rimise in piedi lisciandosi cerimoniosamente gli stracci sporchi che lo ricoprivano. «Abbiamo pagato il nostro penny stronzo!»
«Me ne frego bastardi. Così la prossima volta imparate a tener chiuso quel forno che avete al posto della bocca.»
Il ragazzo più alto, un biondino slavato coperto di lentiggini, tirò l'altro per la manica della casacca di cotone grezzo mentre l'impresario rientrava nell'arena a grandi passi. «Davvero avevi pagato l'ingresso?»
«Ma sei matto?» gli rispose il piccoletto ridendo. «Mi ero nascosto sotto la mantella di una fantesca!»
Il biondino restò a bocca aperta per la sorpresa. «E lei te l'ha lasciato fare?»
«Come no» ammiccò l'amico con occhi pieni di malizia. Occhi molto belli peraltro, grigi e brumosi come Londra al mattino, orlati da lunghe ciglia color castagna. «E le ho pure dato una palpatina!»
Altri tre ragazzi che ciondolavano nei pressi dell'entrata si unirono al duo. Uno si staccò dal gruppo e diede una spintarella al brunetto, facendolo vacillare leggermente. «Sei il solito contafrottole Peter, lo sanno tutti che fai marchette al Blackfriars !»
Un sorrisetto maligno si dipinse pigro sul viso del ragazzo. «Perchè tu non le fai Cyrus?»
«Cosa vorresti dire?» disse l'altro arrossendo.
«Voglio dire, da dove vengono quelle scarpe nuove?» Insinuò l'altro indicando gli scarponcini in pelle dell'amico. «Perchè non porti i soliti zoccoli?»
Il coro di scherno cominciò quasi subito. «Cyrus è un pompinaro! Cyrus è un pompinaro!»
«Basta ragazzi» li zittì Peter. «Lasciate perdere» continuò stringendosi nelle spalle magre. Improvvisamente sembrava molto più vecchio dei suoi quindici anni: un adulto intrappolato sotto la pelle tenera che premeva per uscire. «Il nostro mondo è questo e con la peste che gira potrebbe finire da un momento all'altro.»
Cyrus fece un passo indietro, fissandosi ostentatamente i piedi, o forse le scarpe incriminate. «Non ho bisogno della tua pietà.»
La risata di Peter fu così contagiosa da propagarsi nel resto del gruppetto come cerchi in uno stagno. «Pietà? Per te? Mal comune mezzo gaudio amico» gli strizzò l'occhio Peter. «Dovresti saperlo.»
«Fottiti stronzo» rispose Cyrus battendo in ritirata.
«Tu dammi una sterlina e se ne può parlare cocco!» gli urlò dietro Peter guardandolo allontanarsi a grandi passi. «Che idiota» concluse con uno sbuffo, ravviandosi il ciuffo che gli era finito davanti agli occhi.
«Ehi Peter!» gli sussurrò uno dei compagni. «Guarda laggiù! C'è il solito tipo che ti sta fissando!»
«Dove?» Cyrus era già dimenticato mentre nuovi e più impellenti bisogni gli urlavano impazienti nello stomaco.
«Là, vicino all'entrata!»
Peter osservò a lungo l'uomo bruno mollemente appoggiato al muro registrandone, nonostante il crepuscolo del tardo pomeriggio, il cappello piumato, la gorgera di pizzo e gli stivali di pelle preziosa che facevano capolino da un lungo mantello nero. Era da qualche giorno che gli capitava di vederlo. Sempre all'imbrunire. «Sembra un riccastro» aggiunse un altro ragazzo.
«Vai a guadagnarti la tua sterlina marchettaro» sogghignò uno dei compagni di Cyrus.
Peter non si voltò neanche, lo sguardo ancora fisso sugli abiti sontuosi dello straniero. «Ci sono altri modi Roger, ci sono anche altri modi.»
Il biondino con le lentiggini abbracciò l'amico. «Come al solito Peter?»
«Squadra che vince non si cambia Bill» rispose Peter ridendo. «Mai.» Il biondino sparì in un batter d'occhio, ma Peter sapeva perfettamente dove era diretto. Lo avevano fatto molte altre volte: la sorella di Bill, Nancy, si aggirava sempre nei dintorni. Una volta individuato il pollo giusto Bill l'andava a chiamare, lei urtava il malcapitato facendolo cadere su uno di loro che nel frattempo si era messo in posizione. Un po' di destrezza, un gioco di mano e la sacchetta appesa al cinturone cambiava proprietario. Rubare ai ricchi per donare ai poveri, questa era la sua massima. E non c'era nessuno più povero di loro, pensava Peter, avvicinandosi allo sconosciuto ammiratore.
Ora Peter poteva scorgerne il viso: dei lineamenti dolci, delicati, una bocca morbida, delle sopracciglia arcuate. La pelle era bianchissima, quasi lattea e il viso era sbarbato. Peter non riusciva a capire dove e quando, ma era sicuro di aver già visto quel volto da qualche parte. In un posto che non c'entrava con lui. C'era qualcosa che non quadrava.
«Buonasera dolce signore» salutò il ragazzo sfoggiando i suoi modi più compiti e abbozzando un mezzo inchino. «Le posso essere utile in qualsivoglia modo?»
L'uomo non rispose e parve quasi confondersi e sparire nelle ombre sul muro retrostante. Pareva fatto di fumo. Fumo solido però, perchè Nancy scelse proprio quel momento per fare la sua comparsata. Sbucò dal nulla correndo e urtò lo sconosciuto che perse l'equilibrio e cadde in avanti, appoggiandosi sulle spalle di Peter. Le scuse di Nancy furono un grido lontano mentre le sue mani sondavano velocemente la zona in prossimità della cintura dove i gentiluomini di solito appendevano la borsa. Le mani di Peter erano piccole e delicate. Vere e proprie mani di fata, abili e veloci. Eppure stavolta non trovarono il malloppo bensì una mano grande e solida che gli strinse dolorosamente il polso. Fanculo, era stato beccato! Come aveva fatto a muoversi così velocemente?
«Cosa credevi di fare ragazzino?» la voce dell'uomo gli scivolò lungo la spina dorsale come uno spiffero gelido.
«Cosa dice mai dolce signore?» balbettò Peter in preda al panico. «Cercavo solo di aiutarla a stare in piedi!»
«Raccontala a un altro» bisbigliò quello stringendo ancora di più la presa ai tentativi di Peter di divincolarsi. «Tu stavi cercando di derubarmi.»
Il ragazzo sbarrò gli occhi. «No signore, no! Mi creda non è vero!»
«Potrei denunciarti.»
Peter sentì gli occhi riempirsi di lacrime. Sbatté le lunghe ciglia. Forse così si sarebbe intenerito. «La prego non lo faccia! Non voglio finire a Newgate! »
«Dammi solo una ragione per lasciarti andare!»
Peter sospirò mentre una lacrima gli scendeva sulla guancia ancora imberbe. «Farò tutto quello che volete. Vi prego.» Alla fine erano giunti a questo. Aveva pensato di fregarlo e invece il fottuto sarebbe stato lui. E pure gratis!
«Bene ragazzo» sorrise l'uomo accarezzandogli la guancia con la mano guantata, ma senza lasciare la presa sul suo polso. «Andiamo a casa.»

Era così essere ricchi? Avrebbe potuto abituarsi facilmente a quel genere di vita, pensò Peter, annusando sulla sua pelle il profumo degli olii preziosi con cui era stato asperso dopo il bagno. Era la prima volta che si immergeva in un'acqua che non fosse quella fredda e maleodorante del Tamigi e probabilmente l'avrebbe ricordato per tutta la vita.
Era notte inoltrata e si stava fissando con stupore nello specchio appoggiato a una parete della camera da letto, illuminata morbidamente da candele di sego. Anche questa era una prima volta: fino a quel momento aveva colto la sua immagine nei vetri, nelle pozzanghere, nel riflesso torbido del fiume. Un'ombra indistinta, un riflesso fugace che nulla aveva della chiarezza disarmante con cui adesso poteva ammirarsi. Erano suoi quei boccoli castani acconciati di fresco? Era suo quel viso pallido e fanciullesco? Erano suoi quegli occhi enormi e ancora un po' impauriti, a dispetto della giocosa spavalderia con cui abitualmente mordeva la vita?
Osservò le sue occhiaie profonde e si palpò il collo leggermente gonfio. Improvvisamente si sentì stanco, stanco e infelice. Voleva tornare al covo, la baracca abbandonata che divideva con Bill e la sua famiglia. Voleva un'altra vita. Un vita senza problemi. Una vita con un amore. Un amore come Rosalina, un'emozione che non aveva mai provato. Donne, uomini. Per soldi andava bene tutto. Per amore ancora lo doveva scoprire. L'avrebbe mai fatto? Di sicuro non con Faust, così si chiamava il suo oscuro ammiratore. Sembrava un tipo a posto, era affascinante e gentile, anche se aveva qualcosa a cui ancora Peter non riusciva a dare un nome. Qualcosa che gli dava i brividi. Forse era la camera da letto, senza neanche una finestra, forse era l'unico servitore, che l'aveva guardato quasi con odio, forse era il viso di Faust che era sicuro di aver già visto da qualche parte. Non lo sapeva
«A cosa pensi mio piccolo amico? Non hai gradito il bagno?» Stavolta le parole lo accarezzarono lente e pigre come una mano morbida.
Gli occhi di Peter tornarono duri e vecchi mentre rispondeva all'altro. «L'ho gradito molto mio signore. Pensavo solo a quanto sono belli gli abiti che mi avete donato.» Non si sopravviveva nei sobborghi di Londra col sentimento. Non era un pane che riempisse lo stomaco. Adesso invece era pieno: panini dolci, burro e miele. E vestiti caldi e scintillanti in colori di cui non sapeva neanche il nome. Si guardò le braghe che gli aderivano alle gambe magre ma ben formate: il valletto l'aveva chiamato color “pulce”. Lui aveva avuto le pulci e non ricordava che avessero avuto quel colore. I ricchi erano strani, ma il ferro andava battuto finché era caldo e fare sesso con quell'uomo non sembrava un fato peggiore della morte. Peggiore della fame. Peter si inginocchiò davanti all'altro e lo guardò dal basso verso l'alto, posandogli una mano sull'inguine, che immediatamente rispose attento alle sue premure. «Cosa volete da me, mio signore?»
Faust gli coprì la mano con la sua, sospirando. Esitò un attimo e poi gliela prese, tirandolo su per farlo alzare. «Ho una proposta per te Peter. Una proposta che spero troverai interessante.» Quindi una semplice marchetta non gli sarebbe bastata, rifletté il ragazzo aguzzando le orecchie, Cosa avrebbe preteso? Frusta? Umiliazioni?
Faust gli accarezzò piano i ricci, assaporandone la morbidezza mentre gli scivolavano tra le dita. «Vieni, vivi con me e sii il mio Amore, tutti i piaceri proveremo che campi e colli e vallette e valli donano e i boschi e i rapidi pendii .»
Peter sbatté gli occhi, stupito. Nonostante i versi la proposta era stata chiara. «Cosa vorreste farmi intendere?»
Il sorriso di Faust fu appena accennato, le labbra si dischiusero appena. «Niente di più e niente di meno di quello che ho appena detto. Desidero un compagno, mio dolce amico. E le mie particolari inclinazioni suggeriscono che lo cerchi tra freschi fanciulli» con un cenno elegante della mano accennò agli abiti e alla stanza lussuosa. «Questo è solo un assaggio di quello che sarei in grado di offrirti: sarei il tuo protettore, saresti al sicuro per l'eternità.»
Peter scoppiò a ridere. «Eternità. Che parolone. Ho diciassette anni mio signore anche se ne dimostro meno. In breve le mie spalle saranno più larghe, la mia voce più bassa e la mia faccia coperta di peli.» Il ragazzo scosse la testa, negli occhi ancora l'eco brillante della risata di poco prima. «L'eternità per me durerebbe assai poco.»
«E invece potrebbe durare molto, amico mio, potrebbe durare, per l'appunto, in eterno.»
«Cosa dite mai? Bestemmiate contro Dio e l'ordine naturale delle cosa?»
Stavolta fu il turno di Faust di scoppiare in una fragorosa risata. A Peter parve di scorgere un luccichio sinistro nella bocca aperta di lui, ma subito chiuse gli occhi, colto da un brivido seducente. Il suono rotondo di quelle risa rimbalzò sulle pareti e avvolse il ragazzo come una morbida coperta. «Sei divertente piccolo Peter. Sarai un ottimo compagno. Invero sono quanto di più lontano da Dio tu possa immaginare.»
Senza accorgersene il ragazzo fece un passo indietro. «Siete un diavolo?»
«Alcuni direbbero di sì.»
«E come mai non siete all'inferno?»
«Ma qui è inferno, non ne sono fuori.
Ho visto il volto del Signore e so cos'è il cielo. E tu credi che non mi tormentino diecimila inferni vedendomi tolta quell'estasi? »
«Ma questo è il Dottor Faust!»
Faust annuì compiaciuto. «Vedo che conosci la mia opera.»
«E chi non la conosce! E' stata rappresentata...» La verità insita in quelle parole finalmente colpì Peter come un maglio. «La sua opera...vorreste dire che…»
«Esatto piccolo Peter.» L'uomo fece un cerimonioso mezzo inchino. «Christopher Marlowe, per servirti. Ma tu chiamami Kit, così mi chiamano gli amici e io desidero ardentemente che tu mi sia amico.»
«Ero sicuro di averla già vista da qualche parte» esclamò ripensando al suo ritratto appeso al Globe. «Ma allora aveva baffi e barba! E perchè ha cambiato nome?»
L'uomo gli strizzò un occhio. «Meglio non dare troppo nell'occhio. Non voglio dare alla morte una seconda possibilità, magari con un bel fuocherello sotto i piedi. Non pensi Peter?»
Il ragazzo sbatté le lunghe ciglia. «Mio signore, ma lei è già morto!»
Faust rise a bocca aperta. «Ti sembro morto?» Adesso le zanne rilucevano evidenti alla luce ancorché fioca delle candele.
«In effetti no.»
«Sono un vampiro Peter. Diciamo che tra i non morti c'era qualche mio fervente ammiratore che, avendo assistito alla mia repentina e sfortunata dipartita, rimediò con sollecitudine quanto mai opportuna.
«E lei mi offre lo stesso dono?» chiese il ragazzo con un soffio di voce.
«Sì Peter» confermò l'altro con occhi di un solido nero. Spaventevoli e senza pupilla, osservò atterrito il ragazzo. «Ti offro vita e gioventù eterne» continuò lui. «Ti offro sicurezza ed amicizia. Ti offro protezione dagli altri vampiri poiché invero sarai un non morto debole.»
Peter si fissò i piedi, non osando guardare l'altro dritto in faccia, temendo di rincontrare quello sguardo terribile. «Posso pensarci sopra o mi obblighereste comunque?»
Il volto di Marlowe si fece serio. «Vorresti davvero rifletterci su? Dunque la tua vita è così soddisfacente da non poterla abbandonare senza rimpianto alcuno?»
«Ma sarei per sempre un ragazzino» replicò con veemenza, per un momento dimentico di chi o che cosa aveva di fronte. «Avrei per sempre questo corpo. Non conoscerei mai...l'amore.»
«Ah l'amore» sospirò Marlowe, lo sguardo tornato normale e perso chissà dove. «Impara da Faust a essere forte come un uomo e disprezza la felicità che hai perduta senza averla veramente mai gustata» I suoi occhi si posarono nuovamente sul fanciullo, avvolgendolo in un abbraccio tenero. «Ti lascio solo Peter. Rifletti sulla mia proposta ordunque e accetta con gratitudine il tuo fato.»
Il ragazzo annuì senza parlare, Marlowe era già alla porta senza che lui avesse potuto scorgerlo. Opera di magia, opera del diavolo.
«Tornerò allo scoccare della mezzanotte» annunciò l'uomo, lasciandosi alle spalle una porta chiusa e un ragazzo turbato.

La porta si riaprì sorprendo il ragazzo seduto sul letto. Era già passata un'ora? A Peter era sembrato un battito di ciglia. Cosa aveva pensato? Cos'aveva deciso? Gli sembrava che un mostro vorace gli avesse divorato il ben dell'intelletto giacchè è codesto l'effetto che fa la paura, talvolta. Accettare l'offerta di Faust? Accettare quella sicura e affettuosa protezione? Quel lusso dispiegato ai quattro venti? Marlowe gli aveva confessato che sarebbe stato un vampiro debole. Sarebbe riuscito ad adattarsi? Avrebbe sopportato un corpo fanciullesco per secoli e secoli? Un viso eternamente imberbe? Accettare o andare incontro a quello che la vita, la vera vita aveva in serbo per lui? Affrontare il suo fato?
Faust si sedette accanto a lui. «E' giunta l'ora di decidere amico mio. Rendimi parte dei tuoi pensieri.»
«Non puoi leggermi la mente?»
«Potrei prendere possesso del tuo senno e del tuo corpo solo guardandoti, ma non è ciò che voglio. Desidero un compagno e quindi devo sottostare alla tua volontà pur blandendola con le mie astute lusinghe.»
«Mai lusinga fu più dolce alle mie orecchie, mio signore.»
«Chiamami Faust, te ne prego.»
«Faust.» Peter si alzò in piedi di scatto. «Io...voglio tornare a casa Faust. Non me ne volere. Voglio vivere, voglio invecchiare, voglio amare.»
Il vampiro lo guardò con occhi tristi. «Pur se amare significa morire?»
«Sì»
Faust gli posò le mani sulle spalle magre, in un gesto quasi paterno. «L'amore non è proprietà esclusiva dei vivi, piccolo Peter, anche da vampiro potrai amare, intensamente come da umano, forse ancor di più.»
Peter gli afferrò i polsi rispondendo con ardore. «Ma sarò sempre un ragazzo! Chi amerà me? Morendo sarò felice di aver vissuto se vivendo avrò amato qualcuno che mi ami.»
«E se la vita non te ne desse il tempo?»
«Cosa vorresti dire?» chiese il ragazzo improvvisamente confuso.
«Ah gioventù. Quant'è lontano il tempo in cui il pensiero della morte non mi sfiorava neanche da lontano con le sue bianche dita putrescenti!» sospirò Faust facendo voltare il ragazzo verso lo specchio. «Guardati Peter.»
Peter guardò senza capire.
«Non ti senti stanco mio giovane amico? Non noti il gonfiore delle tue ghiandole e quelle macchioline rosse che ti deturpano le guance? Non senti la tua fronte ardere di un fuoco che nulla ha a che vedere con l'amore?»
Ad ogni domanda Peter si sentiva come se fosse stato caricato di un peso sempre più opprimente.
«La morte ti ha già preso nel suo fatale abbraccio piccolo Peter. Non ha bisogno del mio aiuto per accoglierti nelle folte schiere dei suoi tristi sudditi.»
«Mi stai ingannando.»
«Tira fuori la lingua Peter e vedrai che il mio eloquio non è biforcuto.»
Il ragazzo obbedì rivelando una lingua gonfia e illividita. «La peste nera!» urlò terrorizzato. «E tu lo sapevi?»
Faust annuì. «I miei sensi mi consentono cose che a un normale essere umano sono precluse.»
Peter sentì le lacrime scorrergli sul viso. «E quindi è stata tutta una finzione, una recita? Sono una semplice comparsa in una delle tue tragedie?» Se le asciugò tremante di rabbia. «La possibilità di scelta...l'ora per decidere...»
Faust gli fece cenno di avvicinarsi al letto. «Puoi ancora scegliere piccolo Peter, non ti ho mentito.»
Il ragazzo mosse un piede dopo l'altro, lentamente, come se fossero di piombo, la sua replica fu giusto un bisbiglio. «Potrei guarire.»
«Sì, potresti» disse Faust rialzandogli il mento con due dita. «Vuoi rischiare?»
Peter esalò un lungo respiro. Lo fissò negli occhi neri. «No, non voglio. E tu l'hai sempre saputo.»
«Sì, non lo nascondo. Sì.» Faust aprì le braccia. «E dunque vieni Peter. Dovrò suggere il tuo sangue per tre volte. Non sarà doloroso e la tua nuova vita inizierà.»
Il ragazzo si sedette accanto al vampiro. «Ti prenderai cura di me?»
«Finché camminerò su questa terra amico mio.»
«Non siamo immortali?»
«Non esattamente Peter, alcune cose possono ucciderci. Poi ti spiegherò ogni cosa.»
«E allora mordimi Faust. Se deve essere che sia veloce.»
«Come vuoi essere chiamato?»
Peter lo guardò ad occhi sgranati. «Il mio nome non va bene?»
«Risorgerà un ragazzo nuovo dalle tue ceneri, un ragazzo più forte e più nobile. Non desideri un nome che sia consono?»
Il ragazzo rifletté un attimo e poi abbozzò un mezzo sorriso. «Voglio essere chiamato Byron.»
«Il Byron del Bardo? La commedia che hai visto oggi? Posso sapere il perchè?» Vedendo che Byron abbassava lo sguardo Faust si affrettò ad aggiungere «Se non vuoi dirmelo non ti preoccupare. Mantieni pure il tuo segreto.»
Byron chiuse gli occhi e finalmente si abbandonò sul petto di Faust. Sentì la sua mano scostargli i capelli dal collo, le zanne accarezzargli la pelle. Del suo sogno d'amore restava solo il nome: Byron. Avrebbe mai trovato la sua Rosalina?

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