mercoledì 11 marzo 2009

Incipit



Ho scritto una serie di racconti dedicati ad alcuni personaggi della saga di "Anita Blake: a vampire hunter novel". Ho voluto immaginare quale fosse stato il modo in cui tali personaggi erano diventati vampiri e quando. Mi piacerebbe sapere l'opinione di eventuali lettori e se l'avevano pensato in modo diverso. La serie si chiama Incipit e il primo personaggio a cui è dedicato è Asher.

Asher 1419

“He took the cigarette from his mouth and raised his face skyward. The street light played along his face and golden hair. He blew three perfect rings and laughed”
-Burnt Offerings-

La donna era sdraiata sul letto, vestita solo di una lunga gamurra[1] di seta blu in gran parte sbottonata. Il seno florido faceva capolino dalla scollatura quadrata e il colore, per contrasto, rendeva ancora più bianca la sua pelle. I lunghissimi capelli neri le ammantavano il dorso in morbide onde, ricadendo in parte sui fogli di pelle di pecora che stava leggendo. Ogni tanto prorompeva in basse risate di gola che accarezzavano con la loro dolce eco le orecchie della sua compagna in ascolto, seduta su una sedia di legno scolpito, accanto al letto padronale. «Senti questa Musette!
Mia dolce amata, mia bianca luna, mio tutto. Ancora ricordo come fosse ieri il vostro viso eburneo risplendente di luce fare la sua comparsa nella sala del vostro castello. Eravate al braccio di quel piccolo uomo, talmente insignificante al vostro cospetto che non ne ricordo neanche il nome.
Oh Mio Dio Musette! Hai sentito come parla di Augustine? Non è adorabile?»
L'altra inarcò le spesse sopracciglia nere che contrastavano arditamente coi capelli biondi come il grano. «E' di bell'aspetto mia signora ed ha un bell'eloquio. Ma sarà altrettanto potente?»
«Che noia Musette!» Sbottò l'altra. «Potere, potere...io ne ho per dieci, per cento, per mille! Preferisco parlare di un viso d'angelo, di occhi di ghiaccio trasparente, di un corpo che Fidia sarebbe stato onorato di scolpire! E poi Augustine ultimamente è così noioso. Non fa altro che parlare di amore, sembra quasi che io sia un suo possedimento.»
«Questo è impossibile mia signora» esclamò Musette alzandosi in piedi. «Casomai è il contrario!»
«Ti ringrazio mia seconda in comando, non so come farei senza le tue ovvietà. Portami quelle rose sul tavolo e ascolta cosa mi scrive il nostro Ernest.
Solo voi, per me, solo voi. Mai soavità fu più ardente della vostra, mai passione più bruciante, mai le notti senza il vostro dolce tormento più angosciose. Ogni istante che mi separa dalle vostre mani sapienti, dalla vostra bocca fresca, dal vostro miele caldo è tempo sprecato, è vita rubata è orrore e abominio
La donna immerse il viso nel bouquet di rose fragranti che l'altra le aveva porto e ne aspirò il profumo deliziata.
«Vorrei che fosse già domani, vorrei far già parte della vostra fortunata progenie. L'ultimo morso, l'ultimo assaggio di divino prima della suprema estasi. Sarete per me Madre e Amante. Nascita e Morte. Siete già la mia Dea. Come è possibile che i vampiri siano i figli del diavolo se sono i vostri figli?
Questa è proprio divertente. Dice che sono la sua dea.»
«Ma voi siete una dea! Siete Bellemorte, la dea della bellezza e dell'amore, Afrodit-»
«Fammi continuare Musette. Te ne prego.» Sbuffò con impazienza la donna riprendendo a leggere.
«Siete l'immagine stessa della grazia, vagheggiata dagli angeli ultraterreni, colma di tutti doni che la natura può offrire. Aspra e superba come avreste ogni diritto di essere, vana di una bellezza troppo grande per poterla esprimere a parole. Eppure mi avete fatto l'onore di posare il vostro sublime sguardo sulla mia umile persona. Come potrò ripagarvi se non donandovi me stesso per l'eternità?
Attendo con impazienza il nostro incontro, Vostro Ernest di Lancaster, Duca di Lancashire, Conte di Roissy.
L'hai sentito? Vuole donarsi per l'eternità. Che tenero, mi fa quasi pena. Come se avesse una scelta.»
Musette sgranò gli occhi azzurro cielo, cercando di sfiorare con la mano i piedi perfetti dell'altra, le labbra tremanti. «L'ardeur, il vostro immenso potere, l'ha già irretito»
Belle allontanò il piedino dalle dita dell'altra, infastidita, mentre la sua voce da contralto si abbassò minacciosamente di un ottava. «Vuoi forse dire che senza la mia malia di Succubus non sarei stata in grado di farne ciò che volevo?» «No, mia signora. Nessuno può fare a meno di amarvi, di desiderarvi. Siete l'immagine stessa dell'amore.» Balbettò Musette.
Bellemorte chiuse il discorso con un cenno della mano, come a scacciare una mosca immaginaria. «Fammi preparare un bagno al latte. Che sia colmo di petali di rosa, scarlatti e rosa pallido mi raccomando. E dì alla fantesca che voglio la gamurra di seta bianca, quella quasi trasparente, insieme alla giornea[2] di broccato rosso sangue.»
«Sì mia signora.»
La donna si alzò in piedi, piroettando su stessa, sul volto un adorabile broncio. «Oh come vorrei che la moda di quest'epoca fosse più rivelatrice. Sono stufa di nascondere il mio corpo in questi sacchi di seta senza forma.»
«Vostra signoria sarebbe splendida con qualunque abito.»
«Non c'è dubbio alcuno mia cara Musette.» Disse la donna rimirandosi nello specchio, una costosissima lastra d'argento pefettamente lucidato arrivata da Venezia. «Sono Bellemorte.» Si ravviò una lunga ciocca dietro l'orecchio perlaceo e sorrise alla sua immagine riflessa, scoprendo le piccole zanne, ancora più candide sulla bocca rossa. «Sono Bellemorte e sono uno splendore.»


L'uomo era di spalle di fronte al catino di legno pieno d'acqua ormai fredda. Indossava solo l'interula[3] di leggerissimo lino che gli aderiva al corpo bagnato come una seconda pelle. Avrebbe dovuto essere ridicolo ma la sua presenza fisica riempiva la piccola stanza. Si stava massaggiando la mascella sbarbata di fresco con una mano, osservando dubbioso i due indumenti che il valletto reggeva con cautela per i baveri. «Cosa mi consigli Barthelemy? Il farsetto blu oltremare o quello senape?»
«Io vi suggerisco il senape, vi conferisce un aspetto molto distinto.» Rispose il valletto balbettando leggermente, timoroso di indisporre il suo signore.
E infatti un lampo di irritazione gli balenò negli occhi chiarissimi. «Distinto? Di fronte a Bellemorte non voglio apparire distinto. Indosserò quello blu con le calzabrache oro.» Disse accarezzando le pieghe piatte dell'indumento in velluto ricamato. «Mi è appena arrivato da Firenze. La mia amata apprezzerà senza dubbio.»
«Senza dubbio signore.» Si affrettò a confermare il povero Barthelemy appoggiando su una sedia il farsetto scartato.
Ernest non era mai stato così nervoso in tutta la sua vita. Non era da lui essere indeciso sulla scelta di un abito come una giovane vergine in cerca di marito. Le donne, e non solo, gli erano cadute ai piedi da sempre, pensò con un sorrisetto che gli increspò appena le labbra piene. Era bello, nobile e moderatamente ricco. Perchè con Bellemorte doveva essere diverso? Cos'aveva più delle altre?
Tutto, pensò Ernest, tutto. Occhi sfolgoranti come topazi, capelli corvini e profumati, caldi e morbidi come una coperta vivente nelle lunghe notti fredde di Parigi, pelle come seta candida senza bisogno di biacca, labbra così rosse e polpose da sembrare una melograna appena spaccata, e come sapeva usare quella bocca. E quelle piccole mani delicate. Non aveva mai conosciuto una donna così. Mai.
Il sangue circolò più in fretta nelle vene, il cuore accellerò il suo battito, il pene cominciò a inturgidirsi. Si voltò verso la finestra che dava sul giardino, appoggiando la guancia al vetro freddo per trarne sollievo e per salvaguardare la sua modestia agli occhi del servo.
Un servo era meno di niente eppure Ernest si sentiva punto nel vivo: Bellemorte poteva accendergli i sensi col mero ricordo della sua pelle candida, del suo alito caldo. Era impensabile che una donna di chissà quali natali, per quanto bella, potesse avere quell'effetto su di lui, della nobile casata dei Lancaster.
Già, i Lancaster. Finalmente, dopo l'alleanza franco-borgognona, Parigi era in mano agli inglesi e lui poteva rivendicare quelle origini che aveva sempre nascosto in favore della sua nascita su suolo francese. Non più solo conte di Roissy, ma duca di Lancashire, cinquantacinquesimo in ordine per la successione al trono di Inghilterra, ramo decaduto della prestigiosissima famiglia dei plantageneti, insieme a quei bastardi degli York. Finalmente poteva sfoggiare senza paura, appuntato al rigido collo del farsetto, il profumato simbolo della sua schiatta: una rosa rossa.
Belle l'avrebbe apprezzata. Adorava le rose e adorava riceverne: Ernest prese mentalmente nota di farne cogliere un mazzo per fargliene dono la sera stessa. Quelle dal profumo così intenso da stordire, quelle scarlatte, rosse come il sangue che lei aveva leccato dal suo torace senza mai abbandonare il suo sguardo eccitato. Un vampiro, Belle era un vampiro. Demone, strega, progenie del diavolo. E lui stava per cedergli corpo ed anima, volontariamente. Era stato troppo precipitoso? Doveva denunciarla all'autorità ecclesiastica? Doveva inginocchiarsi nella piccola cappella di famiglia e parlarne con Padre Berengario? Solo il pensiero gli strappò una fragorosa risata, che Barthelemy si sforzò dignitosamente di ignorare. Cosa doveva saperne del desiderio quell'uomo precocemente avvizzito? Dei piaceri della carne? Dell'amore?
Amore, sì. Era pazzo d'amore, pazzo di desiderio, pazzo di Belle. Voleva abbandonarsi tra le sue braccia, posare la guancia sul suo seno, respirare il suo profumo di rosa damascena, essere suo. Per l'eternità.
Ancora poche ore. Ancora poche ore e sarebbe successo. Belle gli avrebbe dato il terzo morso, l'avrebbe reso come lei. Invincibile, immortale, un vampiro. Insieme avrebbero regnato sull’Europa intera. Insieme certo. Perchè anche Belle lo amava. Tutti lo amavano. Doveva amarlo anche lei.
Il sole stava per scomparire nel piccolo bosco dietro al giardino, tingendo di rosso e di porpora il verziere[4] e la pergola. Ernest abbandonò la finestra e si sedette sul letto, inclinando la testa all'indietro e lasciando che i capelli biondi e sciolti gli sfiorassero quasi la schiena. «Pettinami e aiutami a vestirmi Barthelemy, sono in ritardo.»
Mentre il valletto gli districava con cautela i capelli, Ernest chiuse gli occhi e si rilassò. L'eternità poteva attendere ancora qualche minuto.


La donna gli stava conficcando le unghie appuntite nel capezzolo sinistro lasciandovi piccole mezzelune sanguigne. «Oh mio Dio Belle che fate? Che tortura è mai questa?»
«Tortura? Mio piccolo Ernest, qualche anno nella mia corte darà un significato tutto nuovo alla parola tortura.» Rise morbidamente Belle leccandogli il collo. Le sue piccole mani gli stringevano i polsi come morse d'acciaio, bloccandolo al letto. «Questo è amore mio caro, solo amore. Un pizzico di dolore accende i sensi e intensifica il piacere. Non trovi?»
«Sì.» Sospirò lui
«Mi piace il tuo corpo, è così liscio» continuò lei abbassando il capo sul suo torace glabro.
«Avevo notato che non ami i peli.»
«Sono nata in un periodo in cui uomini e donne erano avvezzi alla depilazione» gli spiegò Belle. «Adesso li tollero ma il volto lo preferisco perlopiù sbarbato e il torace deve essere liscio» la donna esplose in una risatina maliziosa. «E' più piacevole da baciare.»
«Lasciatemi i polsi Belle, ve ne prego. Desidero toccarvi più di ogni altra cosa al mondo.»
«No mio caro. Stasera sei alla mia mercè, sei il mio schiavo d'amore e farò di te tutto quel che mi aggrada. Ho bisogno che non ti muova.» Disse mentre gli assicurava i polsi alla testiera del letto con strisce di pelle. «Non aver paura, non ti farò alcun male.» gli disse per tranquillizzarlo, ma poi un lampo birichino gli illuminò gli occhi color d'ambra. «Per oggi.»
Ernest non poté fare a meno di guardarla mentre leccava con dovizia il capezzolo prima torturato e gli faceva ondeggiare i capelli di seta sul corpo in una lunga e insostenibile carezza.
«Non è eccitante sentirsi inermi?» gli alitò sul petto. «Sapere che potrei smembrarti a mani nude? Andarmene e lasciarti nelle mani di Augustine, il piccoletto di cui non ricordavi il nome? O forse potrei chiamarlo e farlo assistere...»
«Mi fareste questo?» Sussurrò Ernest sgranando gli occhi.
«No amore mio. No» rispose lei sfiorandogli le braccia con la punta delle dita. «Stanotte Bellemorte è dolce, stanotte Bellemorte è tutta per te.»
«Solo stanotte?»
«Non sfidare la fortuna piccolo. Nessuno può possedere Bellemorte. Ricordalo sempre e vedrai che andremo d'accordo.»
«Ma io credevo...»
«Shhh. Piccolo mio. Shhhh. Quello che credevi non ha più nessuna importanza. Io da oggi sarò la tua Regina, il tuo Verbo. Nella tua missiva mi scrivevi Sarete per me Madre e Amante. Nascita e Morte. Siete già la mia Dea. Non sono parole vuote piccolo. E' la pura e semplice verità. La mia corte è il regno dell'amore. Avrai altri amanti, uomini e donne. Chiunque ti piaccia o mi piaccia che tu seduca per me. Ma Bellemorte sarà sempre la prima. Bellemorte arriva prima di tutto.»
Ernest chiuse gli occhi, cercando di concentrarsi sulle deliziose sensazioni che provenivano dal suo corpo. In che razza di pasticcio si era andato a ficcare? Eppure le parole dure della donna non riuscivano a scalfire quella coltre spessa di desiderio da cui si sentiva quasi sopraffatto. Nella sua mente c'era spazio solo per Belle, solo per lei. «Non riesco neanche a pensare di poter amare qualcun'altro come amo voi.»
«E come potresti piccolo mio? Come potresti?» rise lei. «Lascia che finisca quello che abbiamo iniziato. Lascia che ti faccia davvero mio.»
«Sì, mia amata, mille volte sì.»
Belle seguì con la lingua la striscia di peli bronzei che dall'ombelico arrivava fino all'inguine badando bene a non toccare il pene di Ernest che sussultava leggermente nell'attesa. «Così liscio, così saldo. Non è passata neanche mezz'ora e siete di nuovo pronto.»
«Siete voi a farmi quest'effetto Belle.»
La donna si riabbassò sul suo inguine gratificandolo stavolta con piccoli colpetti di lingua avanti e indietro, avanti e indietro, come un gattino che lecchi la panna.
«Siete delizioso, Ernest, davvero delizioso.»
L'uomo inarcò la schiena mentre i legami ai polsi gli tiravano la pelle. «Mi sento bruciare, ardere dentro, è una sensazione...è magia? Cos'è questo prodigio?»
«E' l'ardeur piccolo, è il mio potere. Potrei consumarti come una candela, come un ciocco di legno in una sera d'inverno. Tutti i miei figli ereditano parte di questa magia anche se fin'ora nessuno l'ha sviluppata in pieno. Sono proprio curiosa di vedere cosa saprai fare tu.»
«Tutto quello che vorrete Milady, tutto quello che vorrete.»
Belle non rispose e gli prese il pene in bocca, avvolgendolo a più riprese con la sua lingua talentuosa e succhiandolo con ritmo deciso.
Ernest urlò, a un passo dall'orgasmo.
«Non ancora, piccolo, non ancora.» Sussurrò Belle stringendogli la base del pene con la mano sinistra e giocando coi suoi testicoli con l'altra mano. Fece scorrere lentamente le zanne sul suo sesso, stillandone qualche goccia di sangue per leccarla subito dopo con un veloce colpo di lingua. Dopodiché alzò la testa, ancora inginocchiata tra le gambe aperte di Ernest e lo fissò con occhi di miele, sorridendo.
«Belle» la pregò l'uomo tremando incontrollabilmente. «Ti supplico Belle.»
«Mi piace sentirti supplicare Ernest. Mi piace molto.» Mormorò Belle riabbassando la testa e posandola sulla coscia dell'uomo, accanto al suo inguine. La mano tornò a stringergli il pene mentre le zanne gli accarezzarono la pelle delicata vicino alla femorale. «Dimmi cosa sei rispetto a me, dimmi cosa sei.» Lo incalzò Belle continuando a masturbarlo con la sua mano sapiente.
«Non sono niente!» Gridò lui. «Non sono niente!»
«Cosa sei?» insisté Belle.
«I'm nothing but ash in front of you, nothing but ash!»
«Ash. Cenere. Mi piace piccolo» alitò sulla sua coscia. «Dopo stanotte il tuo nome sarà Asher.» Belle colpì di scatto, affondando le zanne nel suo inguine e bevendone il dolce nettare in lunghi sorsi.
Asher sbarrò gli occhi. Fu come se una tonnellata di lava gli fosse colata sul sesso per lambirgli la schiena e arrivargli dritta al cervello. Venne urlando in lunghi getti tra le dita di Belle mentre lei continuava a succhiare il suo sangue. Asher continuava a venire ad ogni sorso, le sue urla ogni secondo più flebili.
«La petite morte sarà la vera morte per te, piccolo mio. Esiste un modo migliore per andarsene?»
«No» rispose Asher socchiudendo piano le palpebre fattesi pesanti come piombo. «Non può esserci niente di più bello.»

[1] Casacca medievale lunga fino ai piedi e abbottonata davanti
[2] Sopravveste senza maniche da indossare sopra la gamurra
[3] Camicia intima che si indossava sotto gli abiti

[4] Grande prato circondato da fossati e pieno di alberi da frutto

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