domenica 22 marzo 2009

Willy Mc Coy 2001


“I couldn't tell the exact color of his suit in the dimness, but it looked like a dull tomato-red. White button-up shirt, large shiny green tie. I had to look twice before I was sure, but yes, there was a glow-in-the-dark hula girl on his tie. It was the most tasteful outfit I'd ever seen Willie wear.”

-The Laughing Corpse-


Mancava un'ora all'alba e i primi bagliori di luce cominciavano a premere alla periferia di St. Louis, anche se nel vicolo maleodorante era così scuro da sembrare ancora notte fonda. Il silenzio tombale era rotto da aspri conati di vomito intervallati da sfilze di improperi.
‹‹Porca troia, vaffanculo a me e a quando mi sono ficcato in questo pasticcio di merda.›› Un altro conato squassò l'organismo ancora in metamorfosi di Willy Mc Coy. Era così debole che non riusciva neanche a muoversi e il vomito gli era entrato pure nel naso. ‹‹All'inferno! Potevano dirmelo che si stava così male.›› Era vagamente consapevole che l'espressione "essere nella merda" nel suo caso andava presa alla lettera, ma non gli importava. Il dolore era troppo forte, si sentiva al di là di ogni cosa. Persino di quel lieve senso di oppressione che l'alba incombente avrebbe dovuto suscitare in qualsiasi vampiro che si rispetti. Ma non in Willy Mc Coy. Lui era un neonato.
‹‹Non puoi soffocare, ma se riesci a girarti di lato, starai meglio›› disse la voce. Una voce morbida e carezzevole che lo confortò come una mano fresca su una fronte divorata dalla febbre. I suoi occhi ancora annebbiati riuscirono a scorgere una bianca sagoma indistinta in cui brillavano due luci blu. Occhi chiamati dal potere nascente.
‹‹Sei tu capo?››

Tre giorni prima ...

Willy Mc Coy entrò nel Guilty Pleasure, locale specializzato in spogliarelli soprannaturali, superando velocemente il guardaroba: non era il tipo da portare con sé croci o altri oggetti sacri. Piuttosto era orientato sui portafortuna e quella sera ne avrebbe avuto proprio bisogno, pensò accarezzando distrattamente i dadi di peluche verde fosforescente appesi al suo portachiavi. Dopo la recente approvazione della legge che garantiva ai vampiri il diritto di esistenza negli Stati Uniti aveva deciso di passare a miglior vita. In senso letterale e, sperava, in senso metaforico. Aveva trentotto anni e un passato sempre presente di modesto malavitoso: piccole truffe, furti d'auto, ricettazione...era sempre stato un pesce piccolo, ai margini della società civile come di quella incivile. Il suo aspetto era anonimo e indegno di una seconda occhiata: capelli castano topo, occhi di un solido marrone, fisico piccolo e sgusciante. Le uniche particolarità che poteva vantare erano il suo gusto nel vestire, di questo lui era più che convinto, e la sua recente collaborazione coi vampiri della sua città, St. Louis. Era diventato uno dei loro informatori e proprio la frequentazione con quel mondo che improvvisamente gli si era svelato, colmo di lusinghe e piaceri sessuali, l'aveva convinto al passo che si accingeva a compiere quella sera.
Si fermò al bancone del bar: sentiva il bisogno di qualcosa di forte per prendere coraggio.
‹‹Un Southern Comfort Gwyneth!›› La barista lo ignorò completamente, continuando a riempire imperterrita le ciotole delle noccioline. Willy aspettò qualche minuto e poi ripeté ‹‹Ho detto un Southern Comfort!››
La vampira sibilò seccata un ora arrivo nella sua direzione, scoprendo le zanne affilate.
Una volta che il profumo di arancia e cannella gli accarezzò le narici e che la morbidezza del whiskey gli foderò la gola, si permise il lusso di dare un'occhiata alla fauna locale. Vampiri, qualche licantropo e soprattutto donne, orde di donne. Eccitate, su di giri e abbondantemente svestite. Erano lì per lo spettacolo naturalmente, ma forse anche lui poteva rimediare qualcosina.
Adocchiata una bionda tettona all'altro capo del bancone, si lisciò ulteriormente i capelli unti di brillantina, si sistemò i baveri del doppio petto in poliestere grigio dalla sottile gessatura verde acido e si diresse verso la vittima designata.
‹‹Ti posso offrire qualcosa da bere principessa?››
La ragazza non gli rispose finché l'amica con cui stava chiacchierando l'avvertì con una gomitata. ‹‹Guarda che quell'ometto con la cravatta allucinante sta parlando con te›› disse a voce abbastanza alta da farsi sentire.
Cravatta allucinante? pensò Willy con un moto di stizza. Cosa c'era di allucinante nella pura seta a scacchi verde e neri? Le ragazze di oggi non avevano più il senso del vestire.
La tettona scosse la testa, agitando i capelli biondi. ‹‹Non mi interessa grazie, sto parlando.››
‹‹Guarda che conosco il capo del locale.››
Un lampo di interesse si accese nei loro occhi. ‹‹O mio Dio. Conosci davvero Jean-Claude?›› strillò la tettona. ‹‹E ce lo puoi presentare?›› ansimò l'altra.
Willy cominciò a tormentarsi le pellicine delle unghie, sentendo di aver pisciato fuori dal vaso. ‹‹Bè, veramente...››
Il lampo di interesse si spense repentinamente così come si era acceso. ‹‹Lascialo perdere Mildred, è di sicuro un ballista.››
‹‹Ma io...›› protestò timidamente Willy.
Un'altra ragazza, poco lontano, urlò nella loro direzione. ‹‹Sta per esibirsi Phillip!››
Immediatamente il locale si riempì di un coro ritmico. ‹‹Phillip! Phillip! Phillip!››
Willy avrebbe voluto dire qualcosa, ma non sapeva neanche lui cosa. E poi le urla eccitate avrebbero sovrastato la sua voce, pensò mentre il bancone si svuotava immediatamente della popolazione femminile che prese subito posto intorno al palco, continuando a ridere e a urlare sconcezze.
Note martellanti e ritmo incalzante si diffusero nell'aria e nello stomaco. Willy osservò con invidia il corpo muscoloso e lucido d'olio del ballerino, sentendosi messo da parte per l'ennesima volta. Se fosse stato un vampiro le ragazze non l'avrebbero trattato così. L'avrebbero trovato interessante. Trasse un sospiro profondo e si diresse verso l'ufficio di Jean-Claude, il vampiro che gestiva il locale per conto di Nikolaos, il master della città.
Percorso lo stretto e impersonale corridoio illuminato da fredde luci al neon arrivò a destinazione, accolto da una voce concitata. La porta era aperta e Willy si sistemò di lato, cercando di farsi invisibile, non dubitando che comunque i vampiri l'avrebbero sentito.
Jean-Claude, moro, pallido e dagli occhi blu, perfettamente rispondente all'ideale del vampiro romantico propagandato da Anne Rice, le lunghe dita ripiegate a sorreggersi il mento, i gomiti appoggiati alla scrivania di lucido legno laccato, era impegnato in una animata discussione con Aubrey, uno dei suoi impiegati. Anche se la definizione impiegato mal si adattava all’uomo biondo dal corpo statuario, reso luccicante da un leggero strato d’olio e appena coperto da un leggero gonnellino di pelle in stile romano. Mentre parlava a voce alta sbatteva ripetutamente un elmo in ottone sulla scrivania, sottolineando con un colpo sordo ogni parola. Jean-Claude lo fissò impassibile, senza tradire la minima emozione: infatti l’animosità era tutta dalla parte di Aubrey.
‹‹Non voglio andare sul palco ridotto in questo modo!›› stava urlando il vampiro. ‹‹Non è dignitoso!››
Jean-Claude sollevò appena un sopracciglio. ‹‹Dignità. Che merce sopravvalutata di questi tempi.››
‹‹Mi rifiuto di ballare conciato così›› sbottò Aubrey accennando con la mano alle strisce di pelle che a malapena nascondevano un tanga dello stesso materiale.
‹‹Puoi sempre parlarne con Nikolaos›› suggerì Jean-Claude in tono noncurante.
Il viso già pallido di Aubrey sbiancò ulteriormente raggiungendo una tonalità cadaverica che ben si accordava al suo status di non morto. ‹‹Forse non è il caso di disturbarla›› balbettò il vampiro.
‹‹Forse›› convenne l'altro riportando la sua attenzione ai documenti che giacevano impilati ordinatamente sulla scrivania.
Aubrey aspettò qualche secondo in silenzio. Era stato dismesso. Girò i tacchi e uscì dalla porta in una mossa fluida che Willy non riuscì a registrare coi suoi occhi umani, mentre la porta sbatteva rumorosamente alle sue spalle. Aubrey venne fermato da una vampira che si stava avvicinando verso di loro, Theresa, la riconobbe Willy mentre la voce di Jean-Claude lo invitava a entrare, morbida e carezzevole come quella di un amante. Willy rabbrividì di piacere pensando con improvviso terrore, sono forse una checca?, poi scrollò le spalle ed entrò. La sua eterosessualità non era neanche in discussione.
Jean-Claude lo invitò con un gesto della bella mano ad avvicinarsi alla scrivania. Poi lo fissò con occhi interrogativi.
Willy restò in silenzio, fissandogli il petto, non risolvendosi a confessare il motivo della sua visita. Il vampiro lo osservò da capo a piedi, meravigliandosi, per l'ennesima volta, che qualcuno potesse avere il coraggio di indossare quegli abiti, poi, vedendo che Willy non parlava, lo incoraggiò.
‹‹Cosa la porta da me Signor Mc Coy? Che io sappia Nikolaos non ha incarichi da assegnare ai suoi molti talenti.››
Willy restò ancora in silenzio, cercando di riprendersi dalle parole di Jean-Claude. Era lui a passargli gli ordini del Master della Città e ogni volta che lo chiamava Signore lo prendeva di sorpresa: nessun altro lo faceva.
‹‹Alors?›› insisté l'altro cominciando a spazientirsi.
‹‹Sono venuto qua per...››
‹‹Oui?››
Willy si grattò la testa, a disagio. ‹‹Accidenti è difficile Capo.››
‹‹Signor Mc Coy, quante volte devo dirle che non sono il suo capo?››
‹‹Sì, scusami Capo.››
Jean-Claude scosse la testa, sospirando e passando a un più amichevole tu. ‹‹Dimmi cosa ti serve e facciamola finita.››
Willy incamerò aria sufficiente per gonfiare almeno dieci palloncini e la espirò tutta in una volta. ‹‹Voglio diventare un vampiro.››
Gli occhi di Jean-Claude si sgranarono al punto da rischiare di fuoriuscire dalle orbite, le labbra gli tremarono impercettibilmente aprendosi quasi in un sorriso prima che la consueta impassibilità tornasse a velargli il bel volto. Era la cosa più vicina a una risata che Willy avesse mai visto sulla sua faccia e il pensiero non era molto confortante.
‹‹Mon Dieu. Credo di non aver sentito bene.››
Willy raccolse tutto il suo coraggio. ‹‹Voglio diventare un vampiro e voglio che tu mi trasformi Capo.››
Jean-Claude scelse di ignorare il Capo per concentrarsi su altro. ‹‹Fammi capire, voglio?››
Willy fece un passo indietro, cominciando a balbettare. ‹‹No, bè, cioè, intendevo dire vorrei...››
‹‹Lo escludo›› rispose perentoriamente Jean-Claude.
‹‹Ma non vuoi sentire neanche il perchè?›› lo pregò Willy.
Il vampiro restò un attimo in silenzio, ricordando gli innumerevoli anni passati alla mercé di master più potenti, le torture, le continue umiliazioni. ‹‹Non c'è un perchè abbastanza valido›› gli disse con voce dura senza neanche guardarlo, sembrando allo stesso tempo umano ed alieno. ‹‹Te lo posso assicurare per esperienza.››
Willy si avvicinò alla scrivania e stavolta le parole gli uscirono di getto, spinte dalla paura del fallimento e dal nervosismo. ‹‹Ma tu non sai cosa vuol dire vivere ignorato da tutti. Come se fossi invisibile.››
Se l'uomo avesse avuto il coraggio di guardare il vampiro negli occhi avrebbe colto tristezza e compassione. ‹‹Non risolverai i tuoi problemi diventando un vampiro Willy.››
‹‹Ma se lo fossi la gente non potrebbe far finta che non esisto! Sarei fico, vivrei in eterno... se mi fossi trasformato a vent'anni non avrei avuto neanche i brufoli! Non è una ficata?›› sbottò accennando alla sua pelle butterata dall'acne.
‹‹Ti posso assicurare che conosco qualcuno che non sarebbe stato d'accordo con te›› replicò Jean-Claude scuotendo la testa. ‹‹La discussione è chiusa.››
‹‹Ma Capo!››
‹‹Ho detto che è chiusa›› ripeté il vampiro rimmergendosi nei suoi documenti. ‹‹E non chiamarmi capo!››
‹‹Ok, Capo›› disse Willy uscendo mestamente dall'ufficio.
La sua vita non sarebbe cambiata, sarebbe stata sempre la solita merda. Non è che aveva dato per scontato il sì di Jean-Claude, però ci aveva sperato. Gli era sembrato un vampiro decente, a suo modo gentile, l'aveva sempre trattato come una persona. Forse si era sbagliato. Forse l'aveva giudicato troppo bene.
‹‹Un penny per i tuoi pensieri Willy›› la voce di Aubrey lo colse di sorpresa facendogli quasi prendere un colpo.
‹‹Calma ometto! Il tuo amico Aubrey è qui per aiutarti›› gli disse il vampiro dandogli una pacca sulla schiena e sospingendolo lungo il corridoio.
‹‹Amico? Da quando siamo amici?›› Aubrey finora l'aveva sempre ignorato.
‹‹Aspetta. Mettiamoci al riparo da orecchie indiscrete›› gli sussurrò l'altro con aria cospiratoria, mentre attraversavano la hall. Lo fece sedere a uno dei tavolini più lontani dal palco, approfittando del breve momento di quiete tra un’esibizione e la successiva.
Erano uno di fronte all'altro e Aubrey avvicinò il capo a quello di Willy, mentre un sorriso che non raggiunse gli occhi gli scopriva le zanne. ‹‹Non ho potuto fare a meno di sentire la richiesta che hai fatto a Jean-Claude.››
‹‹E allora?››
‹‹Volevo solo dirti che hai tutta la mia solidarietà›› continuò Aubrey. ‹‹Quello è proprio uno stronzo.››
‹‹Così pare.››
Aubrey digrignò i denti parlando più a sé stesso che a Willy. ‹‹Il francesino è una cagna assetata di potere e non vuole condividerlo.››
Willy restò in silenzio, in attesa di capire dove volesse andare a parare il suo nuovo amico.
Il sorriso si aprì di nuovo in uno spaventevole luccichio di canini. ‹‹Io invece sono un vampiro generoso, umano.››
La speranza bussò di nuovo alla porta di Willy. ‹‹Vuoi dire che…?››
‹‹Già›› annuì l'altro. ‹‹Ti posso trasformare in uno di noi.››
‹‹Dici sul serio?››
‹‹Stanotte smonto alle tre se vuoi mettermi alla prova.››
Willy non riusciva a credere alle proprie orecchie. ‹‹Vuoi farlo subito?››
‹‹Cominceremo stanotte con il primo morso e domani l'altro sarai un vampiro›› disse Aubrey alzandosi. ‹‹Troviamoci in Saddle street alle tre e un quarto.››
Willy era già perso nel mondo delle sue fantasticherie. ‹‹Sarò un vampiro›› sussurrò tremante. ‹‹La mia vita cambierà.››
‹‹Ci puoi giurare bello! Ci puoi giurare...›› borbottò tra sé e sé il vampiro dirigendosi verso il retro del palcoscenico per prepararsi alla sua esibizione. Dal privè subito dietro il loro tavolo spuntò Theresa che, con aria preoccupata, lo trascinò velocemente dietro le quinte.
‹‹Che cazzo stai combinando Aubrey?›› lo fronteggiò la vampira. Le parole erano permeate da un filo gelido di potere che le rendeva dure e pesanti come piombo.
‹‹Oh Theresa, amica mia›› la prese in giro l'altro. ‹‹Sempre ad origliare.››
‹‹Non sei neanche un master, come pensi di farlo?››
La fronte di Aubrey si corrugò in una smorfia di rabbia che lo rese quasi brutto. ‹‹Non sarò un master ma ho più di cinquecento anni, ce la posso fare.››
Theresa scosse la testa, incredula di fronte alla tracotanza del compagno. ‹‹Jean-Claude gli ha già detto di no. Rischi che lo dica a Nikolaos. Rischi la bara, e per cosa? Per una questione di orgoglio?››
Aubrey ridacchiò. Un suono aspro e sibilante che non aveva nulla di allegro. ‹‹Io lo so perchè gli ha detto di no. Gli ha fatto pena. Sarà divertente vedere la sua faccia quando scoprirà che c'ha pensato qualcun altro.››
Theresa sospirò. ‹‹Stai attento Aubrey. Stai sottovalutando Jean-Claude.››
‹‹Chi, la puttana del Master? Si dà tante arie da imprenditore ma lo sanno tutti qual è il suo vero lavoro: Nikolaos vende il suo bel faccino per ottenere favori.››
‹‹Può darsi, ma perchè la Master si impegna così tanto a limitare la sua vita amorosa? Perchè Jean-Claude si dà tanto da fare per sembrare solo un bel manichino, sempre umile ed inoffensivo? Secondo me nasconde qualcosa, c'è di più di quello che appare al primo sguardo.››
‹‹E' una troia e basta›› ringhiò Aubrey calcandosi l'elmo in testa e drappeggiando il suo gonnellino con una toga rossa. ‹‹E lo sarà sempre. ››
Theresa scosse la testa osservandolo salire sul piccolo palco. Gli uomini erano stupidi e quella semplice verità non sarebbe mai cambiata, vivi o morti che fossero. ‹‹Io ti ho avvertito Aubrey.››


‹‹Sei tu capo?››
Jean-Claude non riuscì a trattenere un sorriso. ‹‹Oui Willy sono io.››
‹‹Mi sento uno schifo›› grugnì l'altro.
‹‹Ci siamo passati tutti, vedrai che presto starai meglio.››
‹‹Sei arrabbiato?›› chiese Willy senza osare rivolgergli lo sguardo.
‹‹Adesso puoi guardarmi, dopotutto sei uno di noi›› gli fece osservare Jean-Claude. ‹‹Comunque non sono arrabbiato con te. Volevo solo risparmiarti una delusione, ti accorgerai ben presto di averla combinata grossa.››
‹‹Magari per me sarà diverso.››
‹‹Lo spero per te. Dico sul serio.››
‹‹E Aubrey?››
Jean-Claude inarcò un sopracciglio. ‹‹Sei preoccupato per tuo padre?››
‹‹Quel figlio di puttana mi ha mollato qui come un sacco di spazzatura. Per me può andare a farsi fottere.››
‹‹Ti consiglio di non dirlo ad alta voce. Mancare di rispetto a un vampiro più alto in grado può farti passare grossi guai.››
Willy diventò se possibile ancora più bianco tanto che l’altro si sentì in dovere di tranquillizzarlo. ‹‹Ma adesso puoi farlo! Aubrey starà qualche giorno nella bara.›› Jean-Claude sorrise nuovamente. ‹‹Qualcuno ha informato Nikolaos della sua iniziativa e lei non ha gradito.››
‹‹Bara?›› ripeté Willy terrorizzato.
‹‹Ti spiegherò tutto con calma, non ti preoccupare. Piuttosto, che nome ti sei scelto?››
L'altro lo guardò senza comprendere. ‹‹Ho già un nome.››
‹‹E' tradizione cambiare nome una volta trasformati›› spiegò Jean-Claude con pazienza.
‹‹Ma io sono Willy Mc Coy!!››
Jean-Claude rise di gusto scrollando le spalle. Forse era vero: forse per questi novellini sarebbe stato diverso.
‹‹E allora andiamo Willy Mc Coy!›› disse togliendosi il mantello e avvolgendoci con dolcezza il vampiro ancora provato dall'esperienza della trasformazione. ‹‹Andiamo al Circo dei Dannati, Andiamo nella tua nuova casa!››
‹‹Allora sarai davvero il mio Capo?››
Jean-Claude osservò l'uomo coperto di vomito che lo guardava con occhi speranzosi, la sua agghiacciante cravatta e quel vestito talmente sintetico che avrebbe potuto illuminare il vicolo a furia di scintille. Trasse un lungo sospirò e se lo caricò su una spalla. ‹‹Sì Willy, ma non lo dire a nessuno.››

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